Sto apparecchiando per la cena quando squilla il telefono. Il concessionario della Citroen mi avverte che la mia auto, ordinata un paio di settimane fa, è arrivata con 10 giorni di anticipo e domani, dopo aver sistemato l’assicurazione la potrò ritirare. – Scusi per l’orario – aggiunge. Mi dà una notizia bellissima e si scusa, lui. Mi viene da sorridere.
La mattina comincia male, dopo aver fatto colazione scopro con orrore di aver finito le sigarette. L’ultima è stata quella di ieri notte, quand’ero convinta di averne un altro pacchetto. Rinunciare alla sigaretta migliore della giornata, col sapore del caffè ancora in bocca, indica non solo Saturno contro, ma proprio l’opposizione di tutti i pianeti dell’intero sistema solare.
Mi preparo come Speedy Gonzales e, non prima di aver fatto tappa dal tabaccaio, corro alla Citroen: lei è lì. Splendida e scintillante, in vetrina.
Mi sento come quand’ero bambina che andavo a comprare le scarpe nuove e già nel negozio, dopo averle misurate, le tenevo ai piedi ed uscivo con quelle vecchie nella busta. Ho avuto tre macchine nella mia vita, questa sarebbe la quarta.
La prima era stata il regalo dei miei genitori per i 18 anni. Penso la meritassi: studiavo, mi comportavo bene, non davo grosse grane in casa e quella macchina credo fosse la loro attestazione della mia condizione di brava figlia. Una Citroen anche quella, di seconda mano naturalmente, due cavalli Charleston bicolore: gialla e grigia. Esteticamente graziosa, femminile quel tanto che basta per essere gradita ad una diciottenne, sufficientemente economica per ottenere il lasciapassare da regalo di compleanno.
Dopo qualche anno sono iniziate le supplenze ed i chilometri da percorrere quotidianamente si erano decuplicati. Durante una di queste sostituzioni, la docente che rimpiazzavo, inizialmente per una settimana, aveva prolungato il congedo e, mors tua vita mea, il mio incarico temporaneo era diventato annuale. – Devo cambiare la macchina, me ne serve una più affidabile – avevo detto a mio padre. – Hai abbastanza soldi per farlo? –aveva risposto compassato – Beh, no. Ma con gli stipendi di quest’anno e le supplenze che farò in seguito penso di riuscirci – avevo ribattuto con l’ottimismo dei miei vent’anni. – Ecco, ragionaci bene. Perché se pensi di comprare un’auto a cuor leggero e poi confidare sul fatto che la pagheranno mamma e papà stai sbagliando strada! –
Mi aveva riportata bruscamente alla realtà e ora sono grata per il senso di responsabilità e per la lungimiranza che era riuscito ad inculcarmi con una breve frase, lanciata addosso con la delicatezza di un padre accorto e atterrata nell’immaturità di una figlia con la pesantezza di un macigno.
Stamattina guardavo l’auto nuova in vetrina e pensavo di meritarmela dopo 15 anni dall’ultima acquistata. E mentre un tizio faceva una specie di registrazione del codice della chiave d’accensione sono uscita fuori a recuperare gli ultimi oggetti dalla mia vecchia auto, che avrei lasciato lì per la rottamazione. Ho ripercorso a ritroso i momenti più rilevanti dei quali era stata protagonista, insieme a me, nell’ultimo decennio. Ho rivisto le gite con gli amici, le notti a zonzo, quelle trascorse a far follie e sfumate all’alba, le chiacchierate fitte fitte coi finestrini appannati, o completamente abbassati per vomitarci fuori dopo una notte alcoolica, i trasferimenti, le città nelle quali ho vissuto e che ha scoperto insieme a me, l’intimità dell’abitacolo condivisa col fidanzatino all’uscita di un cinema, le corse al lavoro, le maledizioni lanciate tutte le volte che s’era fermata in mezzo a una strada e non ne voleva sentire di ripartire e qualche calcio carico di rabbia rivolto alle ruote, anche.
E mi è venuto un tale groppo in gola…
Pensavo che lasciavo lì, nel parco macchine di un concessionario qualsiasi, scampoli di vita ormai logori. Abbandonati come qualcosa che non serve più, come un oggetto di cui non sai che fartene perché ormai incapace di svolgere la sua funzione. Allora sono scesa, con ancora in mano la busta delle cianfrusaglie raccolte dal cruscotto, ho accostato lo sportello e lasciato la chiave nel quadro, come aveva precisato l’addetto alla vendita. L’ho chiusa con estrema delicatezza quella portiera, come raramente avevo fatto finora. Mi sono avvicinata al cristallo lurido del finestrino e ci ho poggiato le labbra, sotto lo sguardo attonito del rivenditore, per omaggiare con un bacio la porzione di vita che avevamo trascorso insieme. Il mio grazie a quell’auto che abbandonavo lì. Ma anche il mio addio alle occasioni perdute, ai fidanzati stronzi, alle fregature prese, ai tradimenti subìti, agli amici persi e che amici non erano, alle capitolazioni, ai sogni infranti, agli errori commessi, alle speranze svanite negli ultimi quindici anni trascorsi.
Il groppo in gola poi se n’è andato e io me ne sono tornata a casa cantando a squarciagola. Accompagnata dalle note di un autoradio che la vecchia macchina nemmeno aveva.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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