di Maria Dore
Ero in mezzo alla gente di Bratislava, venerdì pomeriggio. La gente di Bratislava che ha percorso la distanza che separa piazza Hviezdoslavovo e Nàmestie Slobody, “Piazza della Libertà”. Era la marcia nel nome di Jan Kruciak, il giornalista che indagava i rapporti tra governo e criminalità organizzata, e la fidanzata Martina Kusnirova, uccisi la scorsa settimana.
Questo non è un pezzo che cerca di ricostruire quello che i 7 italiani coinvolti, arrestati e poi rilasciati per insufficienza di prove, facessero in Slovacchia.
Questo era il lavoro che Jan faceva per la testata aktuyality.sk, ed è un lavoro che non può che essere svolto da un giornalista vero. Il suo pezzo incompiuto- incompiuto come la sua vita e quella di Martina- lo potete leggere qui, nella versione italiana resa disponibile dall’associazione “Libera”.
Io volevo solo vedere e ascoltare. Che ci fosse – e ci sia- qualcosa di strano in questa piccola capitale lo avevo pensato, guardandomi attorno, e non da sola. Gente troppo ricca accanto a gente troppo povera. Avevo però considerato che queste analisi basate su semplici e immediate sensazioni potessero essere prive di fondamento. La manifestazione contro la corruzione dello scorso anno e una conversazione con la mia superiore slovacca -“C’è molta corruzione in questo paese”-disse-, fecero concludere che completamente torto non avevamo. Quando qualche giorno fa i media hanno reso noto che tra il marcio slovacco potesse esserci anche la mano italiana, declinata nella sua forma più nota all’estero, quella della Mafia, in molti di noi è scattato il meccanismo di difesa: penseranno che siamo tutti mafiosi, adesso sarà ancora peggio, saranno ancora più freddi e sprezzanti con noi. E, anche, “meglio non farsi vedere a nessuna manifestazione in programma”. Ma dopo quell’ora e mezza nella fredda piazza della Libertà, ho capito che il nostro è stato un eccesso di difesa. Era possibile intuirlo già quando, all’indomani dall’esecuzione di Jan e Martina, sul social ci siamo affrettati a dire che noi, semplici ragazzi di venti, trent’anni non c’entriamo nulla con mafia e ‘ndrangheta. E ci è stato giustamente risposto dai nostri coetanei slovacchi come nessuno stesse azzardando accostamenti simili. La gente di piazza Slabody era composta da quella parte di cittadini e sentimenti che noi italiani vediamo poco ma che, altre volte, non vogliamo vedere perché ci fa comodo così: persone con la bandiera dell’Unione Europea e cartelli non contro i migranti o gli stranieri, ma contro il premier Robert Fico e il suo strambo, oscuro entourage. Persone contente di parlare inglese e di tradurre per te i discorsi di un giornalista slovacco di Reporters sans Frontières arrivato da Parigi, del Presidente della Repubblica, della collega di Jan che per motivi di sicurezza non può essere sul palco personalmente. Una piazza composta e silenziosa, che si agita al solo sentir nominare il primo ministro.
La notizia del rilascio degli italiani coinvolti è di tre giorni fa. É l’ultima che compare cronologicamente nei nostri quotidiani che pure hanno dedicato molto spazio alla vicenda, nell’immediato.
Comprensibile, visto quello che c’è stato in Italia ieri. Triste, ma comprensibile insieme, il mondo delle news funziona così. Intanto, la neve e la pioggia ritornano a Bratislava, spegnendo le candele accese intorno alla foto di Jan e Martina in via Postova.
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