Roma . Dario Fo - fotografo: benvegnù - guaitoli - lannutti
Che cosa ha rappresentato per me Dario Fo? Difficile rispondere a questa domanda. Potrei direi che era l’antitesi di Umberto Eco, ma anche di Michel Foucault e di Eric Fromm. Era Kandinsky davanti a Raffaello, Steve Wonder davanti a Puccini. Qualcosa di diverso dal solito bicchiere di vino, qualcosa di assolutamente originale e folle. Ecco, probabilmente Dario Fo ha rappresentato quella dolcissima follia che ci portiamo dentro. Quella voglia innata di poter schiaffeggiare con gioia chi ci opprime, quella dannata speranza di poter dire “noi esistiamo”, quell’incredibile essenza che ci trasporta in questo mondo complicato e duro. Dario Fo l’ho mischiato molte volte a San Francesco per la forza smisurata che entrambi avevano nell’utilizzare le parole. Da una parte quella poesia immensa dedicata a frate sole e sorella luna, dall’altra quella caricaturale gestualità di modellare tutte le emozioni del mondo. Dario Fo era un forgiatore di attimi. Riusciva a cristallizzare i movimenti e li rendeva unici. Il gramelot è stata la sua invenzione migliore, più alta, probabilmente quella più vicino ad un altissimo e reverendissimo Signore. Lui che era ateo ma curioso, lui che aveva scommesso sugli uomini e, soprattutto sugli ultimi. Un ricercatore di bellezza nelle caverne delle storie antiche, degli operai, dei maltrattati, dei proletari. Dario Fo era un comunista nell’accezione più poetica del termine: il suo orizzonte era di tutti e per tutti. Era un incontenibile cassetto di bellezza, un grande drammaturgo, un attore mirabile, un bravissimo pittore. Che cosa ha rappresentato per me Dario Fo? Probabilmente la tavolozza che tutti i giorni teniamo fra le dita e cerchiamo, con molta difficoltà, di utilizzarla nel migliore dei modi e scegliere i colori adatti. Lui, Dario Fo, li sapeva usare dannatamente bene. Tutti insieme. Ecco la differenza ed ecco cosa ha rappresentato per me Dario Fo: una stupenda virgola colorata nell’universo oscuro delle parole.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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