In via Colonia Romana ci sono praticamente nata, anche se mamma è andata a Sassari per partorire, ma non in clinica, allora non si usava. Era andata dalla madre, che abitava di fronte all’Upim vecchia, all’angolo di quel tratto che unisce il corso con piazza Colonna Mariana che mamma chiamava piazza Sventramento. Dunque io sono nata nel cuore di Sassari e dopo una settimana mi hanno portata nel cuore di Porto Torres, in via Colonia Romana, appunto, dove ho vissuto fino a quando mi son sposata. E i ricordi di quei diciotto anni sono tutti davanti ai miei occhi, ricordi di un’infanzia spensierata trascorsi in quel tratto di strada dove ero l’unica femmina in mezzo a una quindicina di bambini. Era inevitabile che imparassi a giocare al calcio, a biglie, a “battagliora” (che era una guerra tra bande, una sassaiola tra due gruppi contrapposti) che si risolveva in qualche testa rotta. E io di teste ne ho rotte diverse, la maggior parte di nascosto dei miei. È allora che ho raggiunto la parità, la pari dignità e soprattutto il rispetto dei maschi, che un po’ mi temevano, a dir la verità. Babbo era dirigente del partito socialdemocratico, e qualche volta invitava a pranzo, a mangiare la zuppa di pesce che mamma faceva divinamente, dei pezzi grossi del suo partito. Mi ricordo in particolare Salvatore Cottoni, che era parlamentare e aveva fatto aprire una sezione in un locale a fianco a casa, dove aveva persino messo la televisione. Noi bambini passavamo interi pomeriggi, soprattutto in autunno e in inverno, a guardare la tivù dei ragazzi e a giocare a bigliardino. Babbo portava gli occhiali e in quei giorni dell’ottobre del ’59 li aveva sostituiti e mi aveva regalato la montatura, senza le lenti ovviamente (bastava poco per farci felici!). Quel giorno stavamo guardando Rin Tin Tin, eravamo in tanti: Fabio, Ernesto, Nico, Angelo, Mario, Zuniari, Antonio, Marco, io e Anna, che chiamavano Annarédda per distinguerla da Anna Diana. A un certo punto inforco la montatura e continuo a guardare la tivù con grande indifferenza. Quando Annarédda se ne accorge scoppia in una fragorosa risata. La fulmino e con un’aria solenne e severa: -Cos’hai da ridere? -Ma quegli occhiali sono senza lenti! -Per forza, non sono occhiali da vista, sono occhiali per sentire! -Vai e gira – dice, continuando a ridere. Io allora seria seria, mi tolgo gli occhiali e: -Provali, se non ci credi! Si mise gli occhiali con aria scettica, che si trasformò immediatamente in meraviglia. -Caaaa, Albarò, v’hai rasgioni e poggu s’intendi bè!!! E mi restituì gli occhiali tutta soddisfatta. Ebbene, non ho mai capito se sono riuscita a prenderla per il culo io o se lei si è convinta di aver preso per il culo me, fingendo di sentire meglio con quella vecchia montatura senza lenti…
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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