L’accordo è segreto, come il negoziato. Dobbiamo accontentarci di quanto trapela qua e là. Ma di certo occuparsi del Ttip, il Transatlantic trade and investment partnership, è quantomeno doveroso se davvero teniamo al nostro futuro. Per questo non si riesce a capire come mai la stampa nazionale dedichi fiumi d’inchiostro agli scontrini di Ignazio Marino e pochi schizzi alla vicenda del trattato di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa che potrebbe rivoluzionare le regole commerciali a 360 gradi, smontando il castello di normative di tutela dei consumatori europei, sardi compresi.
Il Ttip è materia estremamente delicata, visto che i contraccolpi su alcuni segmenti economici europei appaiono notevoli. A cominciare dall’agricoltura. Secondo Greenpeace, nettamente contraria all’accordo, l’Europa aprirà le porte agli Ogm, gli organismi geneticamente modificati e le regole saranno molto più permissive sull’uso di pesticidi e sull’etichettatura dei prodotti. Insomma, il modello americano sembra destinato a prendere il sopravvento e a condizionare quello europeo. In uno scenario del genere, quale futuro avrà l’agricoltura sarda, basata su micro aziende di qualità che pensavano di poter trovare sfogo nel settore biologico? Che sia il caso di cominciare a porci qualche domanda?
In merito al grado di consapevolezza,c’è da dire che i precedenti non inducono all’ottimismo. La Sardegna ha seriamente rischiato di perdere i fondi comunitari che l’Europa elargisce magnanimamente ai suoi tanti contadini perché, nel 2013, la riclassificazione delle terre agricole, il cosiddetto refresh, basate su riprese aeree ed elaborate da gente che nulla sa dell’allevamento locale, escludeva dall’elenco dei beneficiari dei contributi centinaia di aziende sarde che rischiavano seriamente di finire sul lastrico, anche perché il provvedimento cancellava annualità pregresse già messe in bilancio. Bruxelles, infatti, non riconosce il bosco come pascolo ma qualcuno ha pensato bene di equiparare la macchia mediterranea al bosco. Un pasticcio, risolto solo in questi giorni grazie alla mobilitazione delle organizzazioni di categoria. Il caso refresh serve a far capire quanto la nostra Amministrazione sia distratta su decisioni che dovrebbero godere, invece, della massima attenzione.
Ritornando, quindi, al trattato di libero scambio con gli Usa, Greenpeace sottolinea altri due aspetti controversi.
Il primo riguarda il settore energetico, in particolare i limiti previsti per il fracking, cioè le tecniche di trivellazione idraulica che consentono di frantumare le rocce nel sottosuolo e appropriarsi del gas in esse contenuto. Negli Usa è un business, anche se non mancano i sospetti sulla relazione tra fracking e terremoti. In Sardegna la Carbosulcis ha intenzione di verificare la presenza di metano nel sottosuolo minerario utilizzando qualcosa di molto simile al fracking.
Il secondo aspetto inserito da Greenpeace nella sua campagna di sensibilizzazione riguarda l’industria chimica e il principio di precauzione. Negli Stati Uniti le sostanze chimiche sono considerate sicure fino a prova contraria. Dalle nostre parti vige la regola opposta.
Ma il Ttip è anche altro. E’ previsto, ad esempio, che le aziende statunitensi possano partecipare agli appalti per la gestione dei servizi pubblici nei Paesi europei e viceversa, attraverso una nuova accelerazione delle liberalizzazioni. E se per caso dovesse accendersi un contenzioso tra, poniamo, una multinazionale americana e lo Stato europeo che non le consente di agire secondo quanto stabilito dal trattato, sarà una Corte internazionale a decidere chi ha ragione. Il prezzo da pagare, insomma, è un’ulteriore perdita di sovranità.
Per questo e altre ragioni, bisognerebbe occuparsi del Ttip. A Berlino, nei giorni scorsi, centomila persone hanno manifestato contro il trattato. Da noi, se ne parla poco. E io, da sardo consapevole di vivere in un’isola dall’economia fragile e dissestata, vorrei sapere esattamente quale sarà il prezzo da pagare al mostro euroamericano. Quali sono i rischi? Quali i vantaggi? La Regione non ne parla. Strano. Proprio ora che, al timone, abbiamo un economista.
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