Molti di voi conosceranno il Wrestling. É quella specie di sport americano dove due finti lottatori, combinati e atteggiati come dei personaggi da fumetto, si rincorrono dentro ad un ring, fingendo di picchiarsi, con acrobazie, salti mortali ed evoluzioni degne dei migliori stuntman. É una sceneggiata, per non dire una pagliacciata, che però unisce due atleti veri, due acrobati esperti, professionisti resi ipertrofici da pesanti allenamenti e spesso da dosi massicce di sostanze chimiche per aumentare, a rischio della loro salute, muscolatura e prestazioni. Il Wrestling è dunque una forma di spettacolo che inscena un finto sport, dove gli incontri vengono combinati in anticipo e dove vince, spesso, chi riesce, grazie alle maschere che indossa e alla buffonate che inscena, a conquistare il pubblico. Ora si da il caso che questo circo itinerante in America viene scambiato da gran parte del popolo per vero. Una cosa che in Europa attecchisce solo con i ragazzini, in America riesce a diventare realistico per vasti strati popolari. Ho sempre riflettuto su questa forma di fidelizzazione cieca degli americani. Il sistema culturale americano è all’avanguardia. Ma la distanza tra l’avanguardia culturale e ampi strati della popolazione resta, forse, più grande che altrove. Oggi la parte cosciente e consapevole dell’America è sotto choc. Alcune università, addirittura, hanno dovuto interrompere gli esami, per consentire gli studenti di riprendersi. Addirittura ci sono state manifestazioni di protesta, dopo il voto. Dopo il voto. Mi domando quanti di quelli che hanno protestato contro l’elezione del beffardo Trump, siano andati a votare. Per tanto tempo gli amici americani ci hanno preso in giro per avere un personaggio inadeguato e buffonesco come Berlusconi al governo, e oggi si sono svegliati con uno che, se tanto mi dà tanto in termini di pagliacciate, è certamente peggio. Ma nel frattempo, occorre dire, è cambiato anche l’atteggiamento, nel mondo, di quella che si può definire come la parte consapevole e cosciente della popolazione. Infatti, sorprendentemente, una parte del mondo della cultura, anche di sinistra, si è schierata più o meno apertamente con Trump. Mentre la coscienza civile americana si vergognava, in Europa molti festeggiavano la vittoria del palazzinaro americano. Ho visto sinceri pacifisti inneggiare ad un presidente che da sempre è schierato con la lobby delle armi e per la totale deregolazione della loro vendita. Ha preso piede nel mondo, infatti, l’idea che la Clinton incarnasse lo status quo guerrafondaio e finanziario delle lobby, mentre Trump, con il suo fare guascone, fosse un popolano arricchito ma fuori da ogni gioco di potere. Alla Clinton, pertanto, sono state attribuite facoltà di fare e disfare guerre e pace, e una volontà di prosecuzione delle guerre in atto in continuità con i suoi predecessori. Mentre Trump è stato visto in discontinuità con questo sistema. Come questa lettura dello scenario internazionale e della politica interna americana possa essere diventata così diffusa anche nella parte più cosciente e acculturata della società, nonostante le palesi ed evidenti contraddizioni, si spiega solo con una tendenza sempre maggiore alla semplificazione del suo immaginario, e non contempla il fatto che il presidente degli USA non decide da solo la guerra e la pace, ma è molto più pragmaticamente un mediatore di potenti forze a volte opposte tra loro. Un equilibrista insomma, in una società apertamente dominata dalle lobby. Questo endorsement di una parte insospettabile della società europea con un personaggio che incarna profondamente i disvalori di solito più combattuti, si pensi al razzismo, si spiega con il distacco sempre crescente tra il popolo e la casta. E’ in atto infatti una guerra civile, in tutto il mondo occidentale, come anche la Brexit dimostra. E cioè la guerra tra il popolo e la casta economica e politica. Una casta che difende i propri privilegi oligarchici scaricando il peso della crisi sul popolo. Il colmo del paradosso si raggiunge durante le elezioni, sempre più disertate, non a caso. In quella situazione spesso riesce a vincere chi opera una doppia manipolazione, un doppio inganno. Presentarsi esattamente come uno del popolo. Vedete? Io sono candidato, ma sono uno di voi. Parlo con un linguaggio da pub, bevo, mangio, e rutto esattamente come voi. E ho i soldi, tanti soldi, fatti senza nessun merito, e ho donne, tante belle donne. Incarno i desideri del popolano medio. Oltre a presentarsi come uno del popolo, il candidato che vuole convincere l’elettore di non essere un nemico, di non essere un oligarca della casta, opera un’altra manipolazione, lo “spostamento”. La colpa della vostra situazione, sapete, non è “nostra”, ma loro. Ma loro chi? Come chi? Ma i messicani, i cinesi, gli extracomunitari, i negri, gli immigrati, gli zingari. Non dovete guardare in alto, per cercare il colpevole, ma in basso. La colpa non è di una classe politica e di un potere finanziario che ha mantenuto tutti i suoi privilegi, ma è di quelli lì, degli estranei, dei diversi. Io non sono razzista ma. A questo si aggiunge il disappunto della parte più sensibile della società che assiste, in giro per il mondo, alla morte continua di centinaia di innocenti a causa di guerre provocate dallo stesso sistema. Basta! Che si cambi purché sia! Ed ecco che l’inganno si compie. La gente sfoga la sua rabbia nei confronti di quelli ancora più poveri e disgraziati di loro, e vota quelli che appaiono come uno di loro, che manifestano gli stessi fastidi e le stesse paure, che si atteggiano ad antipolitica, a non-partito con un non-statuto, che si presentano come estranei al mondo politico o come il rottamatore di turno della vecchia classe dirigente. Il paradosso è che per andare al potere politico, oggi, ci si deve presentare come contrari alla politica. Insomma, ci si deve presentare come contrari a se stessi e, nel contempo, distruggere le fondamenta democratiche della civile convivenza e della solidarietà. Questo paradosso che abbiamo visto in Italia e in Europa è iniziato e importato proprio dall’America, si pensi all’attore presidente Ronald Reagan. Ma nel suo viaggio di andata e ritorno dall’America il fenomeno paradossale ha acquistato energia, dando vita al capolavoro assoluto della cialtroneria politica: Trump. Oggi gli americani coscienti sono affranti di avere un presidente americano che reputa giusto menare la donna, che odia il Papa ma adora la sacra Bibbia, che si mostra xenofobo e razzista all’eccesso, che deride i cambiamenti climatici come invenzioni dei cinesi, e così via. Ma non si sono resi conto che il popolo, pur di scardinare il sistema, è disposto a tutto. Anche a sostenere Trump nella speranza che, chissà, la sua lontananza dai modi tipicamente oligarchici ed affettati del potere possa consentire di tirare fuori qualcosa di buono. Io credo che, alla fine, non cambierà molto. I governi per stare a galla devono sostenere lo stile di vita consumistico del popolo, che si sostiene grazie alla difesa delle multinazionali sparse per il mondo. Le guerre continueranno nel mondo esattamente come prima, perché è il sistema economico mondiale che si nutre delle disparità, e per cambiare il mondo non basta un presidente americano che parla e rutta come un popolano. Per cambiare il mondo ci vuole una rivoluzione culturale che parta dal basso. Cioè esattamente il contrario del mondo che stiamo andando a costruire, fatto di gente credulona, incattivita, avida e consumista. Trump è un grandissimo appassionato del Wrestling, della sceneggiata camuffata da sport. Spesso interviene in TV, nei preliminari degli incontri, parteggiando per questo o per quell’altro atleta camuffato da uomo tigre o da supereroe, urlando e inveendo contro l’avversario di turno.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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