Trump e il suo muro sono già tra noi. Si chiamano Clinton, Bush e Obama… e forse Hillary. I mezzi di informazione italiani, ad esclusione forse solo di quelli americani, dedicano un’attenzione spropositata alla politica statunitense (chi scrive, da maniaco esterofilo non è immune a questa ossessione). Tuttavia, quel che è peggio sono le modalità con le quali tale interesse si manifesta: una versione contemporanea di quella che Amadeo Bordiga definiva “dottrina dell’energumeno”, vale a dire, la tendenza a concepire gli sviluppi della storia come determinati dal “Tal dei Tali” di turno, il quale “con la sua vasta persona sbarra la via alla storia”. L’energumeno del momento ovviamente è Donald Trump, senza la cui rozza e ingombrante presenza, l’immacolata storia della democrazia americana avrebbe potuto proseguire verso nuovi straordinari traguardi, in particolare nell’accoglienza degli immigrati. Come riportano correttamente anche i media italiani, infatti, il platinato miliardario newyorchese minaccia, un comizio sì e l’altro pure, di erigere un muro al confine tra Stati Uniti e Messico… un po’ meno correttamente, omettono di riferire che una barriera già esiste e ha una lunga storia che vale la pena raccontare, pur coinvolgendo energumeni meno pittoreschi di Trump.Durante i suoi due mandati presidenziali, Bill Clinton decide di dare corso ad una serie di provvedimenti al fine di arginare l’ingresso di immigrati attraverso il confine col Messico, il più noto dei quali è probabilmente la cosiddetta Operation Gatekeeper. Lanciata nel 1994, incrementava tutta una serie di misure già prese dall’amministrazione democratica e così descritte dallo stesso Clinton, “Dal 1992 abbiamo aumentato la nostra polizia di frontiera di oltre il 35 per cento, dispiegato sensori sotterranei, visori notturni infrarossi…” e naturalmente “costruito molte miglia di nuova barriera”.L’Operation Gatekeeper prevedeva un muro d’acciaio alto dieci piedi (circa tre metri) esteso per settantatré miglia, cui si aggiungeva uno spiegamento di risorse, sia umane che tecnologiche, di tipo più militare che banalmente poliziesco. Una tale militarizzazione di alcune parti della frontiera ha costretto i migranti a prendere altre vie, più pericolose, e infatti il numero di morti da allora è drammaticamente salito.Nei due seguenti mandati di George W. Bush la situazione non è cambiata. Nel 2006 passava il Secure Fence Act, col quale il Congresso autorizzava un ulteriore estensione della barriera per centinaia di miglia, non senza il consueto sfoggio di forza e tecnologia militare. Nel 2010 Barak Obama dichiarava che la barriera col Messico era “praticamente completa”. Tuttavia, il primo presidente degli Stati uniti afroamericano si è distinto anche in un altro settore della politica migratoria, quello delle deportazioni, tanto da guadagnarsi l’epiteto di “deporter-in-chief”, appioppatogli da Janet Murguía, presidente della NCLR, una delle più importanti organizzazioni per la difesa dei diritti di immigrati e cittadini di origine ispanica. Nel 2011, l’amministrazione Obama poteva vantarsi di aver deportato più persone di quante ne avesse espulse Bush jr. durante i suoi due mandati; una tendenza proseguita negli anni successivi sino toccare e superare i due milioni di espulsioni. A tutto ciò va aggiunto il rafforzamento dell’apparato securitario già approntato dalle precedenti amministrazioni. Tramite il Border Security Bill, Obama nel 2010 ha stanziato 600 milioni di dollari per finanziare una serie di misure che vanno dall’aumento degli agenti di frontiera sino all’utilizzo dei droni.In conclusione, considerati i precedenti sia dei democratici che dei repubblicani in fatto di immigrazione, l’isteria di una parte del mondo dell’informazione nostrana, così come gli entusiasmi scomposti di un’altra, rispetto allo spauracchio Trump, sono esagerati. Le politiche migratorie USA degli ultimi decenni hanno mostrato una certa continuità, con una tendenza semmai a diventare più restrittive, dure, punitive e spesso letali per i migranti, a prescindere dal colore dell’amministrazione in carica; determinate più dalle esigenze economiche del capitale che dalle cattive o buone intenzioni di un Trump o di una Clinton.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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