Il nuovo presidente americano Trump dice che penalizzerà le industrie americane che delocalizzano le produzioni. Tutto lascia credere che lo slogan “consuma americano” porterà presto a nuovi ostacoli per chi esporta verso gli Stati Uniti. Non ne abbiamo certezza, ma gli indizi e le sensazioni degli economisti lasciano supporre che sarà così. Per le piccole economie come quella sarda, con un ristretto mercato interno che trova sfogo all’estero, cosa vorrebbe dire trovare frontiere più alte nei Paesi in cui i nostri prodotti sono più apprezzati?
Il giro d’affari dell’esportazioni sarde negli Stati Uniti, nel solo agroalimentare, vale 115 milioni di euro l’anno, secondo i dati forniti dall’Osservatorio delle imprese della Confcommercio: il 60 per cento del nostro export estero. Potranno continuare ad esportare negli Usa, le imprese sarde, potrà la loro qualità vincere queste nuove barriere territoriali? L’idea del cibo sardo sinonimo di qualità, di vita sana e longevità, di Blue zone, potrà reggere l’urto del pur legittimo “prima i nostri prodottti”, panini del McDonald’s compresi? Magari conviene chiederselo, prima di discettare di massimi sistemi ed esultare per una rivoluzione che ad occhio sembra più una restaurazione. Perché un equivoco va chiarito, una volta per tutte. Affermare con forza, magari con manifestazioni di piazza, la propria contrarietà alle idee espresse da Trump non significa infrangere le regole del gioco, ripudiare la democrazia, contestare l’esito del voto o parlare di aria fritta. Significa, invece, interrogarsi sul nostro futuro, in un mondo globalizzato di cui gli Stati Uniti sono una componente chiave. Contestare civilmente è una dimostrazione di una democrazia ancora viva. Chi scende in piazza in America e chi, dall’Europa, teme gli effetti della politica di Trump, non vuole sovvertire la volontà popolare, ma sente semplicemente il bisogno di esprimere le proprie preoccupazioni. Sono principi facili facili, ma vanno ricordati. Si potrà dire che la politica protezionistica sembra un anacronismo, uno strambo tuffo nel passato, lo specchio di una politica chiusa al mondo e stretta dentro i propri confini?
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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