Metti che il Comune di Porto Torres pubblichi il bando per la partecipazione al progetto “ATTIVITÀ D’INTEGRAZIONE SOCIALE E INSERIMENTI LAVORATIVI PER LA COMUNITÀ ROM” .
Il progetto prevede la partecipazione a corsi di qualificazione professionale finalizzati all’integrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro di 10 persone, appartenenti all’etnia Rom, presenti nel campo di Ponti Pizzinnu. L’importo delle “borse di lavoro” è di 500 € mensili, la durata sei mesi.
È chiaro che si tratti di una boccata d’ossigeno alla quale aspirano diversi di quei giovani e meno giovani che vivono relegati in quella sorta di campo di concentramento, circondato da discariche e preda di topi e scarafaggi.
Così in venti decidono di presentare domanda e tra la documentazione da allegare vi è l’autocertificazione di rito dove si dichiara di avere o meno “carichi pendenti”.
Dubito che la modulistica sia stata compilata dagli aspiranti borsisti, che non hanno certo padronanza della lingua italiana e tanto meno del burocratese su cui inciampano perfino certi “eruditi”, sicuramente si sono rivolti a qualche “volontario” messosi a disposizione in qualche ufficio in città.
Ma qualcosa deve essere andato storto o magari qualcuno che ha dato un’occhiata alla documentazione ha messo in guardia i soggetti.
Fatto sta che uno di questi si è presentato alla caserma dei carabinieri a spiegare i fatti e a chiedere quali rischi si corresse a compilare un’autocertificazione in cui si dichiarasse di non avere carichi pendenti, insomma un’autocertificazione falsa.
E mica i carabinieri son scemi! Subito son partite le indagini durate oltre un anno, e poiché dura lex sed lex, per venti uomini, donne e persino due minorenni, è scattata la denuncia per tentata truffa aggravata e falsità ideologica commessa in atto pubblico.
Già. Pericolosi delinquenti che hanno dichiarato il falso per usufruire di ben 500 euro al mese per sei mesi!!! E magari fra i requisiti del bando l’assenza di carichi pendenti non era neppure richiesta!
Ma quali sono alla fine i carichi che pendono su questi poveracci?
Il più grave pare sia abuso edilizio.
Qualcuno si chiede: “Si sono costruiti la casa abusivamente”?
No, tranquilli, qualche benefattore ha regalato del legname e loro, nel campo dove erano previste solo roulotte, hanno costruito delle casette in legno.
Altri sono in attesa di giudizio per rissa, fenomeno frequente in quel campo dove esiste una promiscuità tra etnie, tra religioni e tra miserie diverse.
Sostanzialmente però la comunità Rom di Porto Torres non crea problemi di delinquenza, la maggior parte manda, sia pure con difficoltà, i figli a scuola e qualcuno di questi ragazzi si distingue sia per profitto sia per la partecipazione alle attività organizzate per gli studenti.
I Rom del campo di Porto Torres chiedono da tempo che sia affrontato con decisione il problema dell’inserimento delle loro famiglie nel tessuto urbano, chiedono di poter abitare in appartamenti dignitosi, chiedono, per bocca dei loro rappresentanti, di essere aiutati a vivere come umani.
Franco N. è uno di loro, è un mio amico di facebook, è un padre che vorrebbe per i suoi sette figli un futuro migliore, una vita diversa da quella che lui ha vissuto.
Il figlio più grande, Samuele, ha quattordici anni e frequenta il primo anno al nautico. Al mattino, quando si alza per andare a scuola, spesso trova i pantaloni e le scarpe rosicchiati dai topi, in casa non c’è acqua, né fredda né tanto meno calda.
Martina, invece, frequenta la prima elementare e se la si vuol far disperare o punire ditele che non va a scuola.
Recentemente Martina ha vinto una gara di atletica con i bambini della sua età, è un esempio della volontà di vivere come tutti i bambini del mondo, felice di poter stare tra i bambini e con i bambini, un esempio della volontà di integrazione spesso annientata dal sentimento razzista che pervade ancora la nostra società.
Mi scrive Franco: «Sono bambini che hanno diritto a una vita dignitosa, che vorrebbero frequentare i loro amici anche fuori dall’orario scolastico, che vorrebbero ospitarli a casa, studiare insieme a loro, giocare, come fanno tutti gli altri bambini, vogliono studiare, ma vogliono uscire da questa trappola che non gli consente di esercitare come vorrebbero sia i diritti che i doveri. Insomma noi vogliamo integrarci, ma non ci è consentito».
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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