In queste ore che seguono l’elezione dei presidenti delle due Camere, salta da una bacheca Facebook all’altra l’estratto di una gustosa lite di qualche anno fa tra la nuova guida del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, uno dei riferimenti civili e culturali del Movimento Cinquestelle. Incrociando le modalità di elezione della Casellati e quella furiosa lite si ottiene un momento storico della nostra politica, forse la mesta conclusione di questi venticinque anni di guerra civile, una guerra civile combattuta con le armi dei dossier e delle parole dette e scritte. Ma non sempre la fine di una guerra va accolta con sollievo e commozione, temo non in questo caso.
Torniamo a quella lite, scatenata da Travaglio nello studio televisivo di Lilli Gruber. Il direttore de Il Fatto rinfacciava alla nuova presidente del Senato il sostegno, indiscriminato e incondizionato, ad ogni iniziativa assunta da Silvio Berlusconi, comprese le leggi ad personam e certe spericolate uscite contro la magistratura. Non un’opinione, ma un dato oggettivo. Una come la Casellati credo rappresenti per il direttore del Fatto la più fulgida espressione del male politico assoluto: peggio di Berlusconi, sempre raffigurato da Travaglio come l’ambigua sintesi dei traffici della Prima Repubblica, sembrerebbero esserci solo i fedeli servitori di Berlusconi. Un male politico contro cui quella generazione di giornalisti nati all’ombra dei magistrati di Mani Pulite ha speso ogni energia, ogni parola, ogni inchiesta. Quella di Mani Pulite era un’Italia corrotta e sfacciata – non so se più o meno di quella attuale – e una rivoluzione di coscienza era d’obbligo. Quella rivoluzione aveva la forza impetuosa di un fiume in piena, ma con gli anni la sua corrente vorticosa si divise in diversi affluenti. Marco Travaglio, nato cronista di giudiziaria allievo di Montanelli, è diventato la voce mediatica più autorevole di una rivoluzione che non ha mai smesso di scatenare la sua forza contro l’ancien régime, inteso come tutto ciò che politicamente sia sopravvissuto a Mani Pulite.
Il Fatto Quotidiano è nato ai tempi in cui il berlusconismo imperante sembrava aver ripristinato quel mondo, nelle sue declinazioni più sconcertanti. “Basso impero”, scrivevano in quegli anni i più qualificati notisti politici, raccontando vicende avvenute più in residenze private che nei palazzi delle Istituzioni. Sapete di cosa parlo. Ci furono i Girotondi e tante altre pubbliche manifestazioni di dissenso per quell’andazzo sconsiderato. Da allora, contro l’ancien régime una forza è emersa prepotentemente: i Cinquestelle di Beppe Grillo. Travaglio ed il Fatto ne sono diventati la voce, ne hanno sorretto valori e hanno loro indicato i nemici da combattere. Hanno scatenato furiose campagne contro ogni indagato, contro ogni politico oscurato dall’ombra del malaffare, contro ogni sospetto di collusione.
Oggi, i Cinquestelle e il partito guidato da un pregiudicato hanno stretto un accordo per eleggere la Casellati seconda carica dello Stato. La Casellati, quella che convinse un imbufalito Travaglio a lasciare lo studio televisivo della Gruber, tra imprecazioni irripetibili. Oggi si chiudono venticinque anni di guerra civile, ma non so se sia il caso di esserne felici. Travaglio e i suoi seguaci dovranno prendere atto che nessun uomo è un’isola e nessun uomo può bastare a se stesso. Se si sostituisce all’uomo il soggetto politico costituito da più uomini, si arriva inesorabilmente alla stessa conclusione: a volte bisogna sedersi a parlare anche con chi, fino a ieri, era considerato il nemico. Bisogna avere il coraggio di accettare che la politica sia qualcosa di più ampio di un’aula di tribunale. Bisogna accettare la perdita della verginità e riconoscere la sconfitta, in definitiva. La giornata politica ha detto questo.
Quanto a Maria Elisabetta Alberti Casellati mi ricorda, come postura ma anche per assonanza metrica e letterale del nome, la cotonata centrista Elisabetta Fumagalli Carulli. Ha parlato a nome delle donne, ma io non so quanto possa rappresentare davvero le istanze del mondo femminile una che ha sempre riconosciuto in Berlusconi il suo riferimento politico. Berlusconi, quello che in occasioni ufficiali recitava barzellette sull’aspetto fisico di Rosy Bindi.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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