Musica che non cammina nel pentagramma della vita. Note che non ci sono e non si trovano. Perchè non si può morire a quell’età. Perchè la vita è l’iconografia della bellezza universale e tredici ragazzine, tra cui sette italiane, non possono bloccarsi all’ingresso delle opportunità. E’ difficile raccontare i drammi. Si rischia di naufragare nel melodrammatico. Ma anche a virare sul lato sociale mica si riesce a costruire niente. Troppo pochi i mattoni dei ricordi per queste ragazzine che si affacciavano, con una certa curiosità, davanti ai gradini di una vita. Che pareva in discesa. Che pareva complicata ma colorata. Pareva intensa e lunga, tutta da raccontare. Musica che non gira tra i contorni di troppi occhi che avevano il diritto di continuare. Ragaze, studentesse con il tasto “on” in tasca e il play davanti a tutto e a tutti. Sorrisi semplici, speranze facili, baci da regalare, amori da scuotere, figli da costruire, abbracci da distribuire. Questo raccontano quei visi che non parlano e paiono muoversi in questo universo terribilmente luminoso che è il web. Ed invece, a guardarle bene, quelle ragazzine si son fermate e sono scese dall’autobus della vita. Mute. Senza nessuna musica che gira attorno. Tredici giovani vite che cercavano di capire la complessità del mondo. Mio nipote, per esempio, ha partecipato al progetto Erasmus. E’ stato in Portogallo. Sono pezzi di storia che ti metti dentro lo zaino e ti servono per affrontare meglio la strada della vita. E’ un po’ come fare il militare, che lo ricordi per sempre anche se, inizialmente, non ti è neppure piaciuto. E’ come quella volta che il tuo amore ti ha lasciato o il primo bacio e il primo schiaffo. Non si ferma una canzone prima di un ritornello. Non fatelo mai. Ve ne prego. Provate, per un attimo a lasciarla andare, a far si che la puntina della vita raschi tutto il vinile della vostra esistenza. Facciamo finta. Con le canzoni è facile, con le persone un po’ meno. Erano tredici ragazzine con la dolcezza attorno. E ancora molta musica da ascoltare. Prendete un pezzo e buttatevelo nelle orecchie. Un blues, un rap, un rock. Qualcosa di molto duro. Questo serve. Per continuare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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