Dice che il totocalcio lo vogliono consegnare alla storia, nel senso che lo vogliono mettere in soffitta. La notizia è stata smentita anche ieri, ma indubbiamente il vecchio erogatore di milioni (di lire) e illusioni è fortemente attaccato dal Gratta e Vinci e altra roba così, comunque da una concezione diffusa del gioco un po’ meno sanamente onirica e un po’ più morbosa.Babbo per esempio giocava regolarmente al Totocalcio ed era lucidissimo di testa. Se una settimana se ne dimenticava non entrava in crisi di astinenza. Mi raccontava sempre di una volta che, medico condotto a Nughedu, inizi anni Cinquanta, ancora luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, seguiva alla radio i risultati delle partite e si accorse di avere fatto Tredici. L’indomani mattina si mise all’alba in auto per Sassari allo scopo di informarsi segretamente come ritirare i milioni e informare mia madre che la loro vita stava per cambiare. Arrivato nei pressi dell’Intendenza di Finanza aveva già sentito per la strada almeno dieci persone che dicevano a gran voce di avere fatto Tredici. Capì che era una di quelle schedine dove i vincitori beccavano al massimo duecento lire ed evitò di illudere mia madre.Ma di persone baciate dalla “Dea Bendata” (quanto ci piace a noi giornalisti quando possiamo dire queste cose qua) ce n’erano davvero. E si scatenava la “Caccia al vincitore”.Come succede anche ora.E cosa ti ha fatto il vincitore che gli devi dare la caccia?A te te li ha rubati quei soldi?No?E allora lascialo in pace, il vincitore.Che poi questi vincitori di somme che non so neppure come siano fatte davvero mi piacciono. Perché sono l’aspetto innocuo del gioco. Roba talmente fuori del comune che non mi sembra neppure malata, come invece mi appare quello stillicidio davanti alle slot. E’ vero che anche il Gratta e Vinci mi dicono sia piuttosto rappresentato tra i pazienti gravemente dipendenti dall’azzardo e in cura al Serd di Sassari. Ma le vincite da due milioni mi sembrano uscire dalla normalità e dalla morbosità. E’ come una favola, un gatto con gli stivali delle sette leghe che nessun malaticcio si può sognare di inseguire.Siccome anche ai miei tempi c’era il vizio di dare la “caccia al vincitore”, di queste prede ne ho catturato due. E in entrambi i casi dopo la soddisfazione di averle prese le ho lasciate libere, come quei pescatori che non si capisce perché rompono le balle a certi pesci enormi, traforandoli con ami e arpioni e dopo la fotografia fanno gli ecologically correct e li ributtano in mare.Il primo caso è roba di più di quarant’anni fa e la caccia si scatenò intorno al vincitore di 150 milioni di lire con un Tredici al Totocalcio. Ora tenete conto che 150 milioni di lire degli anni Settanta non erano circa 75mila euro di adesso, ma una somma che a quei tempi faceva di te una persona ricchissima, tu e i tuoi figli vita natural durante, se ci stavi un po’ attento e non ti spendevi tutto in ballerine.La schedina era stata giocata nel bar di un quartiere popolare di Sassari. Tra gli avventori che interrogavo come fossi stato un poliziotto che cercava un molestatore di bambini, ce n’era uno che si vedeva che moriva dalla voglia di mostrare che ne sapeva. Sul momento non gli diedi corda, poi lo aspettai fuori e a quattr’occhi ottenni tutti gli indizi che mi poteva dare. Andai a parlare con il capoufficio di un’impresa esterna di una grande azienda pubblica e chiesi notizie di un loro operaio, chiedendo se per caso si fosse assentato improvvisamente dal lavoro.-Sì.Allora la privacy era un orientamento vago, più che una norma.Piombo a casa dell’operaio con il fotografo e faccio irruzione come fossi Nick Carter.-So che il vincitore è lei. Mi faccia vedere la matrice.Quello, invece di mandarmi affanculo, fa un cenno alla moglie e andiamo tutti in camera da letto. Da un armadio tira fuori un paio di pantaloni arrotolati. Nel frattempo mi accorgo che sulla soglia si affollano visi di bambini. Colgono l’occasione di vedere l’oggetto misterioso che negli ultimi giorni aveva sconvolto il trantran familiare con urla di gioia e ripetute raccomandazioni-Zitti, per carità. Nessuno deve sapere.Insomma, la donna srotola i pantaloni, da un tasca di dietro cava fuori uno di quei portamonete di finta pelle con la chiusura a molla, dal portamonete esce una bustina da biglietto da visita e dentro la bustina c’è la matrice. Controllo. E’ quella.-Complimenti.-Ma ora mi mette sul giornale?-Sennò mi licenziano.-Aspetti almeno che riscuota. Devo parlare con un avvocato che mi ha detto che mi porta da un notaio e che ci pensa lui.-Farò quello che posso.Quando uscimmo dalla casa, eravamo ancora sulle scale, dissi al fotografo.-Asco’, tanto né a te né a me ci pagano a cottimo. Abbiamo uno stipendio sicuro. Se questa storia non la raccontiamo a nessuno noi non ci perdiamo niente, a quello, invece, ingenuo com’è, gli fottono tutti i soldi.-Filighè, mi sembravi un po’ più figlio di puttana. Guarda che così di carriera ne fai poca.Mai previsione fu così azzeccata.Al ritorno in redazione dissi al capocronista-Niente da fare. Introvabile.-E quella pista che stavi seguendo che sei due giorni fuori senza fare un cazzo?-Falso allarme.Insomma, non ho mai capito se quel giorno ho trasgredito nei confronti della professione o del mio capocronista.Mentre invece, per il secondo caso, sono sicuro di avere trasgredito solo nei confronti della professione perché il capocronista ero io. Ma non posso entrare in maggiori particolari per due motivi: il primo è che se qualcuno dei cronisti di allora mi telefona e me ne chiede conto posso sempre rispondere-Ma va, è una balla, mi sono inventato tutto. Figurati se buttavo via una notizia così, mi conosci.L’altra è che non è passato abbastanza tempo e non voglio che quell’altro ex poveraccio “baciato dalla fortuna” e uscito da un giorno all’altro dalla condizione di poveraccio, venga identificato e abbia rotture di balle.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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