Scusate ma mi viene da vomitare. Questa nave da crociera in cui mi trovo da una cinquantina d’anni balla un po’ troppo, oggi. Se ne sono andati tutti. Sono rimasto io, il comandante Nausea.
Leggo che Francesco Schettino, il comandante della Concordia, guadagnerà 1,5 milioni di euro per partecipare all’”Isola dei famosi”. Trattasi del programma che fa della raccolta differenziata un format tv. Artisti o pseudo tali in cerca della ribalta mediatica perduta, alle prese con un improbabile naufragio ripreso 24 ore su 24 dalle telecamere. Ci sarà anche lui, dunque, il comandante, tuttora sotto processo? Ah no, pare sia la solita bufala. Meno male. Ma sto per vomitare lo stesso al pensiero che, tutto sommato, non ci sarebbe stato da sorprendersi se la notizia fosse stata vera.
Esaurito il tempo dell’indignazione, chiuse nel cassetto le immagini di quella notte di gennaio, il comandante Schettino assapora l’altra faccia della medaglia di questa nostra società avariata. La fama, anche se negativa, può avere i suoi sporchi vantaggi. Il nostro comandante può sempre vantarsi di aver tenuto banco a un seminario promosso da un docente della Sapienza sulla gestione del panico (sic). Dunque, se davvero avessero deciso di trasformarlo in naufrago televisivo a suon di milioni, non sarei svenuto dalla sorpresa. Perché da tempo abbiamo smesso di indignarci o comunque non siamo capaci di trasformare l’indignazione (o ciò che ne resta) in un’onda d’urto capace di muovere le leve del potere. E’ nostra perché non passeggiamo più sul prato dei valori ma arranchiamo nella cloaca dell’indifferenza. E ci sta bene così.
Il 14 aprile scorso, al largo delle coste meridionali della Corea del Sud, affonda un traghetto con a bordo 476 passeggeri, gran parte dei quali ragazzi in gita scolastica. Ne muoiono 313. Sei mesi dopo, il comandante di quel traghetto, Lee Jun-Seok, accusato di negligenza per non aver organizzato i soccorsi come da manuale, viene processato e condannato a 36 anni di galera. Ha evitato per un soffio la pena di morte che, da quelle parti, non viene eseguita da 37 anni, nonostante sia prevista dal codice. Le foto, diffuse in tutto il mondo, di quel processo riportano il volto del 69enne comandante Lee intriso di vergogna davanti alla Corte coreana.
Il 13 gennaio 2012, in Italia, la nave da crociera Costa Concordia urta uno scoglio mentre effettua il cosiddetto “inchino” davanti all’isola del Giglio. Muoiono 32 passeggeri, 110 rimangono feriti. Il comandante, Francesco Schettino, abbandona la nave con parecchi passeggeri ancora a bordo. Viene arrestato e resta in carcere un paio di giorni. I giudici lo spediscono subito a casa, agli arresti domiciliari. Nel luglio scorso, vengono revocati anche i domiciliari e arriva l’obbligo di dimora. Un anno e dieci mesi dopo il naufragio, il processo a carico di Francesco Schettino è ancora in corso. Gregorio De Falco, il capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno, quello del “Torni a bordo, cazzo” rivolto al fuggitivo Schettino, è stato trasferito in ufficio, a sbrigare scartoffie. “Quello che mi è capitato – ha dichiarato – mi amareggia ed è l’ultimo tassello di un percorso che parte da lontano e che riguarda tutta la sezione opoerativa che, dopo la notte della Concordia, è stata tenuta costantemente ai margini di qualunque ricorrenza o celebrazione”. E questa non è una bufala.
Scusate ma mi viene da vomitare. Questa nave da crociera in cui mi trovo da una cinquantina d’anni balla un po’ troppo, oggi. Se ne sono andati tutti. Sono rimasto io, il comandante Nausea. Italiani, vi prego, tornate a bordo, cazzo!
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