Se un amico ti definisce “blogger sulfureo”, vuol dire che il livello di insolenza che hai raggiunto è soddisfacente.
Ma siccome ho paura di diventare anche io un cliché e di arrugginirmi, stavolta farò del mio meglio per non essere insolente, anche se ne ho proprio voglia.
Tore Cherchi vuole le canne e 300 posti di lavoro per il Sulcis: “la provincia più povera d’Italia”.
http://www.sardiniapost.it/politica/bioetanolo-tore-cherchi-regime-creera-300-posti-di-lavoro-grande-opportunita-per-il-sulcis/
Non sto qui a farvi grandi discorsi ideologici sul “land grabbing”, vi rimando per questo al bell’articolo di Fiorenzo Caterini (https://www.sardegnablogger.it/lultima-cartuccia-di-una-sardegna-occidentale/).
Quanti ettari di canne dovremmo farci per produrre le previste 80.000 tonnellate di etanolo all’anno?
“ L’impianto di bioetanolo in discussione per Portovesme (80 mila tonnellate/anno ) è uno dei cinque impianti di nuova generazione programmati per l’Italia. E’ stato scelto il Sulcis in quanto zona ad alto indice di deindustrializzazione.”
Io non lo so, ma credo che sarebbero molti ettari.
E allora mi pongo un problema.
Quanti posti di lavoro verrebbero creati nell’agricoltura e nell’industria agroalimentare se tutti quegli ettari di terreno venissero coltivati ad altro?
Ragioniamoci un po’, visto che per realizzare l’impianto di produzione del bioetanolo occorrono degli investimenti: “Da dove arriveranno i soldi per realizzare gli impianti? Gli impianti saranno realizzati in parte con capitali propri e in parte come prestiti da rimborsare (la Mossi-Ghisolfi investe 90 milioni di capitali propri, ci sono poi finanziamenti di banche e fondi. Ndr). L’epoca dei capitali pubblici erogati a fondo perduto è finita. L’investimento totale si aggira intorno ai trecento milioni che genera 300 posti di lavoro a regime e 600 in fase di montaggio.”
E allora chiediamoci: “Quanti posti di lavoro si realizzerebbero nell’industria agroalimentare con un investimento di 300 milioni?
No, perché, in questo ragionamento di Cherchi c’è un problema.
Non si tiene assolutamente conto del fatto che—e qui mi ricollego al discorso di Caterini—per produrre energia per i paesi ricchi, si sottrae terra coltivabile alla produzione alimentare.
Lasciando stare le considerazioni sull’immoralità—già denunciata da molti anni dagli ambientalisti—dell’uso della terra per produrre energia, anziché cibo, mi viene immediatamente in mente una considerazione economica: la Sardegna importa oltre l’80% dei prodotti alimentari che consuma.
Quale sarebbe il vantaggio del produrre energia che alla Sardegna non serve, anziché prodotti alimentari di cui la Sardegna non può fare a meno?
Quale sarebbe il vantaggio dell’esportare sia energia, sia i capitali necessari per pagare i prodotti alimentari di cui i sardi non possono fare a meno?
Producendo generi alimentari, non si esporterebbero tutti quei soldi che oggi si spendono per il loro acquisto, e questi soldi rimarrebbero in Sardegna, contribuendo al benessere generale dei sardi.
Spinta dalla richiesta interna—sulla quale non possono esserci dubbi—potrebbe nascere un’industria agroalimentare che, se basata su prodotti di qualità, potrebbe puntare anche all’esportazione.
Si potrebbe finalmente instaurare un circolo virtuoso.
Insomma: quello che molti dicono già da decenni rispetto allo sviluppo possibile della Sardegna.
Invece Cherchi punta nuovamente all’industria pesante, da finanziare con investimenti mostruosi: esattamente come si proponeva per le miniere di zolfo–con un basso tenore di carbonio–del Sulcis.
A colpi di un milione di euro per ogni posto di lavoro.
Eja: 300 posti per un investimento di 300 milioni.
Ora, siccome non voglio fare la parte del “sulfureo”, mi limito a chiedermi se Cherchi—quasi un mio concittadino, senza offesa!—ha pensato a qualcos’altro che non siano i 300 posti di lavoro da spartire nel Sulcis: tanti a lui, tanti a Oppi, ecc.
Mi sembra che Cherchi ragioni ancora come ai tempi della chiusura delle miniere: bisogna dare posti di lavoro ai disoccupati, non creare ricchezza.
Assistenzialismo, pagato a prezzi altissimi.
Mi sembra che non sia un caso che Cherchi sia quasi un mio concittadino.
Mi sembra di scorgere nella sua proposta—che non definisco fallimentare per non sembrare “sulfureo”—l’antico sogno sulcitano del “posto”.
Su postu, là!
Io vivo in Olanda e in trenta anni ho visto moltiplicarsi la richiesta di prodotti alimentari dell’area mediterranea.
Esiste un mercato potenziale enorme nell’Europa centrosettentrionale.
I prodotti agroalimentari sardi qui non esistono.
Sono miliardi di euro non guadagnati dai sardi, a vantaggio di altri paesi che invece hanno una classe dirigente intelligente.
Noi dobbiamo accontentarci di Tore Cherchi e delle sue canne.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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