Quando arrivi l’aria è rarefatta. Quasi silenziosa. Le stazioni si somigliano tutte. Hanno gli stessi odori e, se osservi bene, anche gli sguardi sembrano gli stessi. La stazione è il terminale del mondo. Il viaggiatore annusa sempre il rumore dei binari e ascolta quella voce metallica che comunica qualcosa che, quasi sempre, non si capisce. Il problema è quando esci dalle stazioni. Quando appari all’improvviso in una città che non conosci. A Caserta, ad aspettarti, c’è la Reggia e quel rumore confuso di un traffico diverso da altre città. Lo senti subito il miscelatore di un qualcosa che cammina e non vedi. Non è il disordine, quello lo metti in conto. E’ un rumore sordo che appiattisce i passi mentre arrivi velocemente al tuo albergo, a pochissimi passi dalla stazione. E l’albergo è la cartina di tornasole dei non luoghi. Capisci che sei finito in una parte diversa dalle altre ma non è quell’hotel a raccontartelo. Troppo uguale a quello di Roma, Madrid, Stoccolma. Tranne l’accento. Quando cammini tra le strade senti il tonfo del silenzio misto ad un chiacchiericcio solido, allegro, ameno quasi. Caserta è l’avamposto di quei luoghi divenuti famosi grazie a Roberto Saviano: il mondo dei casalesi, la terra dei fuochi. Intorno c’è Aversa, Marcianise, Casal di Principe, Santa Maria Capua Vetere, dove c’è un istituto penitenziario che raccoglie tutti i detenuti della zona. Quando ti muovi, attraversando questi piccoli centri intorno a Casera capisci il tonfo del silenzio che inonda tutto il paesaggio. Capisci la differenza tra un terreno e un territorio. Capisci che sei finito dentro qualcosa di segnato, qualcosa dove la camorra ha il suo enorme potere. I sindaci di questi paesi sono finiti in carcere, così come gli assessori. Molte città sono governate dai commissari prefettizi, la politica detta le priorità. Che non sono le strade, gonfie di buche, che non sono gli spazi verdi – inesistenti a Marcianise – che non sono palestre, parchi, giardini, biblioteche. Non sono. Il tonfo del silenzio appiana tutta la campagna. Ci sono incroci a raso che non vengono rispettati da nessuno; le rotatorie non hanno un senso logico, i ragazzini girano senza casco, nessuno mette le cinture di sicurezza e tutti acquistano il terminale da infilare nella fessura per zittire l’avviso di indossarle che emette l’automobile. Queste nuove auto fanno troppo rumore. Il tonfo del silenzio non lo richiede. E’ così. Non occorre chiedere perché lo sia. Perché non si paghino i parcheggi, perché ci siano troppi infermieri negli ospedali, perché non si paghi l’assicurazione delle auto, perché quasi tutti, in questi paesi, hanno un avvocato di famiglia. E’ così. Mica può essere diverso. E’ la costruzione di una società che ruota indistintamente intorno ad una famiglia, ad un modo di essere, ad una gestione del potere che si sente ma non si vede. Nel mio albergo, proprio quella sera, c’era la convention per la presentazione dei candidati del PD. Ho pensato ad uno scherzo. Macchine blu eleganti, donne eleganti, uomini eleganti. Sorrisi e fotografie. Ho guadagnato subito l’uscita di una hall che mi metteva il malumore. La sinistra. Una sconfitta fin dalla presentazione. Ho lasciato Caserta e l’apparenza racconta altro. Vista da lontano Santa Maria Capua Vetere sembra una città normale a tante altre. E’ raschiando la periferia che si scopre l’anima perduta di queste persone. Interi quartieri che non hanno l’allaccio con l’acqua. Neppure il carcere, costruito da anni, è allacciato alla rete idrica comunale. L’abusivismo edilizio è una parola quasi inesistente. Nel senso che è la norma. Qui si costruisce perché qualcuno ha dato il permesso, gli ha venduto la terra e questo basta. Non ci sono troppe domande da fare. E’ un ventre molle quello della terra dei fuochi. Il tonfo del silenzio cammina tra le buche, i bambini che giocano per strada, le donne che stendono davanti al marciapiede, i balconi gonfi di parabole perché, comunque, tutti hanno l’abbonamento a Sky. Ti guardi intorno, provi a camminare tra i giardini della reggia di Caserta e ti viene quasi da piangere: perché dobbiamo abbandonare tutto questo a quel tonfo nel silenzio? Perché il nostro orgoglio non ci permette di modificare questa follia, questa criminalità terribile? Perché, probabilmente, quella terra non ha più lacrime da versare. Ho mangiato delle mozzarelle di bufala che ti emozionano, ho sorriso con dei ragazzi che parlano del Pipita e di persone anziane che amano sempre Maradona. Son ripartito e a Capodichino, al check-in, il ragazzo dell’Alitalia mi ha ricordato che il mio biglietto, essendo scontato con la continuità territoriale, non ha il diritto ad effettuare il check-in al banco, ma solo on-line. Però, poi, me lo ha fatto. “Qui si può fare” mi ha detto restituendomi la carta con un sorriso. Ecco, qui si possono fare troppe cose, ho pensato. Ho atteso l’aereo nello spazio identico a centinaia di aeroporti. Il tonfo sordo camminava, mi inseguiva, quasi. Sono luoghi di splendida bellezza, di immensa umanità. E’ una terra bellissima, ma è una terra di camorra.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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