In una serie di interviste a vari quotidiani, Donald Trump ha annunciato un giro di vite ai viaggi dei cittadini europei negli Stati Uniti, ha criticato la Merkel per la sua politica di accoglienza, ha attaccato la politica fiscale del Messico, ha elogiato la Brexit, ha denunciato l’inutilità dell’Onu e dell’Unione Europea.
Col passare del tempo si diventa in genere più prudenti nell’esprimere giudizi sul prossimo, sui fatti, sulle opinioni. L’esperienza ci dice che ogni storia fa caso a sé e queste storie non possono essere incasellate nei nostri comodi schemi, tu in quello scomparto e tu in quell’altro. La realtà è sempre diversa, più profonda, rispetto a come appare ad una prima occhiata distratta. Eppure, mi pare proprio l’idea che molti di noi si erano fatti del Donald Trump politico sia quella più fedele al personaggio. Proprio per una parlantina che stride assai, sulla bocca dell’uomo più potente del mondo, proprio per il senso di inadeguatezza al ruolo che suggeriscono le sue sparate. La faciloneria e la disinvoltura con cui rilascia dichiarazioni, twitta e critica le decisioni interne di altri statisti, rafforzano l’impressione di un gradasso certo che la supremazia americana sia un fatto naturale e ogni occasione sia buona per impartire lezioni agli altri. Probabilmente, l’immagine dell’Europa che Trump ha in testa è quella trasmessa da certi action movie americani: quando l’eroe chiamato a salvare il mondo dalla catastrofe si sposta in Europa per compiere qualche missione, là vi trova un medioevo di corruzione, ignoranza, disordine. E deve combattere anche contro quella primitiva anarchia. Pochi giorni fa, Trump ha nominato nello staff politico della Casa Bianca il genero. In questa corsa al ribasso, la sorprendente decisione ha suscitato meno clamore di quel che meritasse, ma è significativa sul modo di intendere il ruolo da parte del tycoon: ora comando io e me ne fotto di opportunità e decenza. Se un qualunque capo di Stato europeo avesse piazzato un parente in qualche posto di sottogoverno, la faccenda sarebbe rapidamente diventata caso politico. Per la elementare regola che impone una netta distinzione tra ambito pubblico e privato di un uomo delle Istituzioni. Gira e rigira, l’immagine di Trump che mi sembra più rappresentativa lo vede, qualche anno fa, sdraiato sul tappeto di un ring, durante una lotta in una riunione del wrestling americano, finto sport nel quale muscolosi commedianti recitano la loro parte, come attori della Compagnia del Bagaglino. Ci sarebbe da ridere, se solo non parlassimo dell’uomo più potente del mondo.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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