Di solito, nell’epoca del populismo, basta morire per diventare il meglio di ciò che il defunto faceva in vita. Ho visto persone comuni diventare eroi. Morire ai giorni nostri è una fortuna, diventa un valore. Ho alcuni conoscenti vigilati da parenti e amici perché vogliono togliersi la vita allo scopo di raggiungere l’apprezzamento che in vita è loro negato. Figuriamoci se uno muore quando da vivo era già in cima alla lista, come Maurizio Costanzo. Io di Costanzo ho un grande rispetto perché la mafia ha tentato di ucciderlo, ciò significa che ha fatto qualcosa di importante e coraggioso. Ma non riesco a non considerarlo simbolo addirittura fondante di una tv che non mi piace. Ci sono molte cose e persone la cui importanza al loro esordio era indecifrabile. Nessuno pensava che quell’ufficialetto corso avrebbe conquistato l’Europa, che quel pittore fallito austriaco con gravi turbe di auto persecuzione razzistica per la propria omosessualità repressa, l’Europa l’avrebbe distrutta. E che negli anni Settanta quella prima puntata di “Bontà loro” condotta da Maurizio Costanzo avrebbe inaugurato la più grave decadenza dell’informazione italiana dai tempi del Fascismo. Intendiamoci, “Bontà loro” era tutt’altro che brutto, becero o creatore di disinformazione. Era un signor programma televisivo dalla visione del quale uscivi con alcune notizie in più e qualche buon esempio di riflessioni profonde e originali manifestate in un contesto che obbligava il riflettente alla chiarezza. E anche un po’ ti divertivi a seguirlo, perché c’era qualche educato litigio, un po’ di pepe nel contradditorio, le spiritose provocazioni di Costanzo che non varcava mai i limiti della sudditanza nei confronti dei datori di lavoro (i politici) da parte dei giornalisti Rai di allora, ma dava l’idea di un certo simpatico e innocuo frondismo, un po’ come immagino l’avessero data personaggi quali Grandi, Bottai o Ciano nei salotti romani alla fine degli anni Trenta. Il problema è che “Bontà loro” aveva nella coda un veleno che a distanza di cinquant’anni sta ora finendo di intossicare l’informazione italiana: era un talk show, cioè un contenitore di chiacchiere a scopo ufficialmente informativo nel quale però lo spettacolo è più importante di qualsiasi informazione. E da allora cominciò l’ascesa di personaggi che in questo contesto diventarono modelli imitati nella cultura popolare italiana. Lo stesso Costanzo, in un successivo programma, lanciò Vittorio Sgarbi, la cui prima clamorosa medaglia fu quella di avere dato, in diretta sul palcoscenico, della stronza a una preside e poetessa sarda e di ciò dovremmo andar fieri per avere contribuito, pur come soggetti passivi, a consegnare alla storia il grande critico d’arte e a consolidare questo genere di dibattito. Poi ci fu Gianfranco Funari, che recitò in diretta la preghiera dell’angelo custode (“Angelo di Dio che sei il mio custode…”) per un bambino sequestrato, uno spettacolo di sfruttamento a scopo spettacolare del sentimento religioso, imitato ma non raggiunto da Salvini e la D’Urso molti anni dopo con la recita dell’ “Eterno riposo” per i morti di covid a immagini accoppiate sul monitor e lei con le mani giunte e gli occhi in gloria. Ora a parare le chiappe ai conduttori di molti talk show sono molti conduttori stessi, i quali coltivano e saldamente possiedono, quasi tutti, un’immagine di persone perbene e corrette, vagamente di sinistra, comunque indubbiamente democratici, che si farebbero scannare prima di cedere al populismo. Eppure certe trasmissioni sono un inno allo spettacolo spesso volgare ai danni della informazione. Dai vaccini di ieri alla guerra di oggi, invitano certi arnesi all’unico scopo di far loro dire sciocchezze e poi insultarli perché hanno detto sciocchezze, ma questo in nome dell’asserita, sino alla noia, completezza dell’informazione. Ci sono molte eccezioni ma lo show prevale. E’ una tendenza di enorme importanza, epocale, senza una volta tanto esagerare nell’uso di questo aggettivo, e quindi se attribuisco a Costanzo il ruolo di fondatore di questo genere non è che lo stia sminuendo. Anzi. Il fatto che a me questo genere non piaccia è ininfluente, soprattutto se pensi ai milioni di altri a cui piace. Sarà che le contaminazioni di genere ai vecchi come me risultano ostiche, ho il cervello meno agile, pretendo di vedere l’informazione da una parte e lo spettacolo da un’altra, altrimenti non ci capisco più nulla. Ma figuriamoci se Costanzo non se ne intendeva più di me. Ora è morto. E chi se ne frega dicono gli emuli. The show must go on.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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