Se c’è una cosa che mi ha molto toccato, in questi giorni, è stato il testamento spirituale di Andrea Camilleri. Lo ha affidato ad una intervista rilasciata a Simonetta Fiori di Repubblica. Un quarto d’ora di parole avvilite, pronunciate da un uomo che sa di essere “ad un passo dalla morte”, concluse da un’amara sentenza: “Sto lasciando un’Italia che non mi sarei mai aspettato di rivedere”. Mi ha fatto pena. Non in quanto popolare scrittore, ma da vecchio afflitto dallo scadimento morale di un popolo.
L’intervista è stata filmata e il volto rassegnato di Camilleri esprime questa delusione. La delusione di un imbarbarimento inarrestabile, di una tragedia senza soluzioni immediate: non c’è tempo, per un 93 enne, di vedere le cose migliorare, di assistere ad una di quelle svolte della storia che riportano il buon senso al centro del mondo. Camilleri vede, nel presente, quello stesso clima di contestazione, poi irregimentata nella fedeltà al capo, che portò poco meno di un secolo fa al fascismo. Il padre di Montalbano sa di cosa parla perché lui, appena un bambino ma già abile a far fluire idee da una penna, lesse una poesia nella pubblica piazza al Duce, in visita in Sicilia. Rivede, Camilleri, quelle adunate oceaniche e la spietatezza verso il dissenso. Tornano, come sono tornati l’odio razziale e l’antipolitica più spinta.
Credo che oltre all’amarezza, Camilleri si senta sconfitto dal sospetto di un fallimento personale. Il personaggio di Salvo Montalbano è stato molto popolare, in questi ultimi vent’anni. Era ragionevole credere che i valori con i quali Camilleri aveva animato il commissario rispecchiassero la maggioranza degli italiani, se quella serie aveva avuto quel formidabile successo. La complessità dell’uomo, le screziature di ogni singola personalità, il rifuggire i luoghi comuni (la mafia, nella Sicilia di Montalbano, quasi non appare), la ricorrente figura del migrante cui il narratore guarda con la benevolenza che si deve agli ultimi, per un dovere di giustizia e umanità. Purtroppo dobbiamo ammettere che non sono più valori maggioritari, in quest’Italia. La sconfitta dell’ultimo Camilleri sta forse in questa evidenza. E nel dolore di non avere abbastanza tempo per rallegrarsi una seconda volta, vedendo l’Italia invertire la marcia.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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