Stamattina ho assistito con raccapriccio all’esperimento di un inviato di Sky che, andando in giro per strada, sottoponeva a passanti selezionati a caso delle false notizie pubblicate su siti spazzatura: la maggioranza degli intervistati non esercitava alcuna facoltà critica e in definitiva prendeva per buona una balla inventata da cima a fondo. Nello specifico, l’inviato poneva un aspetto ancora più preoccupante del problema, cioè le fake news diffuse attraverso le catene di whatsapp, contro le quali al momento ogni controllo è impossibile. Alle panzane che girano su piattaforme pubbliche i governi dei social possono in qualche modo fare fronte, ma quando vengono trasmesse in forma individuale attraverso il telefono diventa difficile sventare la minaccia. Il mio raccapriccio derivava non tanto dall’ignavia di chi si beve queste sciocchezze, ma dal fatto che tanta gente, nella storia, ha rischiato la propria vita per andare in fondo alle cose, inseguendo la verità. C’è chi alla verità ha dedicato la vita, c’è chi dedica la vita a raccontare bugie, approfittando della dabbenaggine di chi ci casca, magari per favorire il populismo di certi partiti o il proprio conto in banca, grazie ai click inconsapevoli. Questa introduzione serve solo a ricordare l’opera di un grande giornalista, Tiziano Terzani, uno di quelli che ha speso la vita per andare in fondo alle cose, anche inseguendo tracce di verità che, nel momento stesso in cui le batteva, sembravano non interessare a nessuno. Pochi giorni fa ho finito di leggere “Buonanotte, signor Lenin”, uno straordinario reportage scritto tra Unione Sovietica e le repubbliche dell’Asia centrale nell’estate del 1991. Scritto al computer, Terzani fu uno dei primi ad abbandonare la macchina ad scrivere, fotografato con una Leica M2 “comprata nel 1975 a Saigon da un ladro che l’aveva appena rubata ad un americano”. In quell’agosto del 1991, all’inviato fiorentino era stato proposto di viaggiare dentro l’impero sovietico in disfacimento navigando l’Amur, il fiume che dall’estremo est russo accarezza tutta la frontiera cinese, diviso per quasi tutta la sua lunghezza a metà tra i posti di guardia delle rive opposte, su cui avevano piantato le bandiere due paesi che non avevano mai smesso di guardarsi in cagnesco. Ma proprio durante il viaggio arriva la notizia del colpo di Stato contro Gorbachov, nei fatti l’atto conclusivo di oltre settant’anni di comunismo in Urss. Terzani non si precipita verso la Piazza Rossa di Mosca per capire come si stia vivendo nel cuore dell’Impero quel solenne momento della storia. No, cerca di capire come la notizia venga accolta nelle periferie, nei luoghi lontani dal potere, dove decenni di comunismo hanno fiaccato ogni fiducia nelle istituzioni e nel futuro. A Mosca ci arriverà sì, ma solo ai primi di ottobre, per chiudere il racconto con la visita, dolorosa, penosa, al mausoleo di Lenin, mentre in ogni città le statue del patriarca sovietico vengono abbattute tra gli applausi. Zaino e attrezzi da lavoro in spalla, Terzani rispetta il programma e, una volta finito il percorso sul fiume, scende dal battello appartenente al Partito comunista per proseguire il suo cammino con mezzi di fortuna, auto di tassisti veri e improvvisati o aerei: viaggiare su un Antonov era fatto abbastanza normale in un paese dalle distanze siderali, ciononostante in quel tempo era un’impresa davvero spericolata per le condizioni di una flotta in sostanza abbandonata. Attraverserà tutte le nuove repubbliche dell’Asia centrale, pezzi dell’Unione sovietica andati per conto loro. Uzbekistan, Kirghizistan, Azerbaigian, Georgia, Armenia. Terzani racconta tutto. I suoi alberghi, stamberghe dove nessuno di noi passerebbe un minuto della sua vita, le persone che incontra per sapere di più dei posti, la quotidianità, gli espedienti popolari per sopravvivere alle privazioni del regime. È un racconto partecipato, per certi versi commovente. Terzani credette nell’utopia comunista, ma fu costretto ad arrendersi all’evidenza del modo maldestro, violento e retorico in cui era stata applicata. La sua utopia tradita la rivela apertamente, ma non ha fiducia in quel che sta arrivando. In quel 1991, nei luoghi pubblici, vede che le piccole mafie hanno occupato con i loro loschi traffici gli spazi lasciati liberi dallo Stato e che ovunque un certo nazionalismo feroce ha ravvivato la fiamma delle rivalità tra le etnie, antagonismi una volta repressi. Terzani teme anche, lo teme molto, il ritorno dell’integralismo islamico, rinvigorito dalla caduta del comunismo e pronto a farsi avanti per occupare i nuovi governi, imponendo la sua legge. Gli Imam partecipano all’abbattimento delle statue degli eroi della narrazione comunista e arringano le folle, convinti di poter occupare il ruolo guida che fino a pochi mesi prima spettava ai dirigenti di partito. Oggi, per chi lo conosce superficialmente, Terzani è colui che contestava con intense lettere piene di saggezza la rabbia contro l’Islam di Oriana Fallaci. È, appunto, una lettura superficiale. Terzani respinge il fanatismo islamico ed è terrorizzato da certe ritualità, ma da uomo che ha visto il mondo sa che non si potrà combattere la barbarie con altre barbarie. È il 1991, ma Tiziano Terzani aveva già evocato molte paure poi realizzatesi, dieci anni prima dell’11 settembre La cosa più bella di “Buonanotte, signor Lenin” sono i refusi. Piccoli errori di battitura, lievi imprecisioni che danno l’idea di un racconto scritto di getto, persino con foga, quasi ogni sera in un alloggio diverso, anche se ciascuna tappa era stata accuratamente preparata con un calendario pianificato di visite e incontri, cui spesso l’istinto del fuoriclasse aggiungeva l’improvvisazione di un fuori programma. C’è il giornalista e c’è l’uomo, in questo libro. Io ci ho messo dei mesi a leggerlo tutto. Perché ogni città, ogni museo ti costringono a ricerche, approfondimenti e ti portano verso nuove scoperte, in mille rivoli capillare di verità che si dipartono dalla strada maestra. La migliore ricetta contro le fake news e la banalizzazione. Ciao, signor Terzani, hai sempre qualcosa da insegnarci.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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