E’ come un gioco che si ripete. Prima o poi all’Asinara si ritorna. Perché qualcuno ha sempre qualcosa da puntualizzare, deve, in qualche modo poter dire e poter spiegare. Oppure perché, semplicemente, non ha nulla da dire e allora, come d’incanto, usa una vecchia cover. L’Asinara, per essere davvero chiari, dal 28 febbraio 1998 è un parco nazionale. Lo dico perché esiste una legge dello Stato che lo istituisce e Maroni, ex ministro degli interni, le leggi le dovrebbe conoscere e far rispettare. Lo dico perché non si risolvono i problemi – peraltro complessissimi – in questo modo. Dire al popolo bue: gettiamo tutti i cattivi nella fossa dei leoni e risolviamo il problema. Ci combatto da anni sul rispetto delle leggi, sull’etica, sul rispetto delle persone. Mi rendo conto che è una battaglia difficile ma almeno sui fondamentali dovremmo convenire: in Italia non c’è nessuna legge che stabilisca l’abbandono degli imputati o condannati nelle patrie galere. Non c’è nessuna legge che ordini ai poliziotti o operatori penitenziari di abbandonare i detenuti al loro destino. Non c’è nessuna legge in questo curioso paese che obbliga gli operatori del Ministero della Giustizia ad isolare i detenuti dagli altri per sempre. Non c’è semplicemente perché questo curioso paese è uno Stato di diritto, dove vigono i principi garantisti che uno è innocente sino alla condanna definitiva e quando è condannato definitivamente la legge prevede un lento ma serio percorso di riavvicinamento alla società. Questo è un paese che ha dei principi costituzionali altissimi, dotato di politici miopi e di un popolo piuttosto facilone. L’Asinara non può essere un carcere nel 2016 perché mancano tutte le caratteristiche strutturali di un carcere come lo si intende oggi. Dal 1998, anno della sua chiusura, si sono modificate molte cose: c’è stato un decreto, nel 2000, che ha, per esempio, obbligato lo Stato a prevedere all’interno delle celle anche le docce e in nessuna diramazione dell’Asinara sono previste camere con la doccia interna. Si sono modificate gli spazi all’interno delle sezioni, ci sono state modifiche strutturali perché siamo stati condannati dalla comunità europea (sentenza Toreggiani) ad aprire le camere di detenzione in quanto i detenuti, in Italia, in alcuni casi, erano stipati in meno di tre metri quadri. Tutto questo è contro i diritti dell’uomo. Di qualsiasi uomo. L’Asinara, oggi, nel 2016 non ha nessun senso penitenziario. Non esistono né le condizioni giuridiche né quelle strutturali. Tutti gli edifici, se non una minima parte rappresentata da una villa e alcuni caseggiati, non appartengono più allo Stato ma alla Regione Autonoma della Sardegna. Questa è la situazione. Semplice, senza giochi di parole. I leghisti (Maroni e Calderoli) che chiedono a gran voce di riaprire l’Asinara, sanno benissimo che ciò non è giuridicamente possibile. Lo dicono semplicemente perché non hanno un progetto serio, perché non hanno risposte alla complessa storia del terrorismo islamico. Cosa succederebbe se dovessimo davvero deportare i detenuti condannati (solo condannati, attenzione) all’Asinara? Avremmo risolto tutti i problemi con l’isis? Avremmo debellato il terrorismo? Storicamente non è accaduto. L’Asinara, per esempio, non ha “funzionato” con il terrorismo nostrano, quello delle brigate rosse e dei terroristi neri. Per loro ci sono voluti altri passaggi e funzionò, più dell’Asinara, l’area omogenea di Roma Rebibbia che sancì, nel 1983, la resa anche dei capi irriducibili. Diverso il passaggio con i mafiosi. Effettivamente nel 1992, dopo le stragi di Capaci e di Via d’Amelio, fu deciso che molti mafiosi venissero trasferiti a Fornelli. L’isolamento fu in alcuni casi vincente e produsse alcuni risultati. Lo Stato però si stava attrezzando per fronteggiare questo problema anche in altri istituti ed oggi le sezioni ad altissima sicurezza che ospitano i detenuti sottoposti al regime di 41 bis (tra cui Sassari Bancali) garantiscono standard di altissima sicurezza e professionalità. La stessa sicurezza e professionalità garantita anche per quei detenuti accusati di terrorismo nazionale ed internazionale, ben gestiti all’interno di alcuni Istituti in Italia. Perché il problema (e Maroni lo sa bene) non è isolare le persone fisicamente, ma politicamente. Occorre monitorare e stare attenti ai fenomeni di proselitismo, conoscere i modi di vivere e di comportamento delle persone. Ci sono gli strumenti per verificarlo e ci sono gli operatori (poliziotti, mediatori, funzionari giuridico pedagogici, psicologi) in grado di farlo. Che i politici come Calderoli e Maroni ci giochino, per quanto sia sconveniente e poco serio ci può stare, che a farlo sia un segretario di un sindacato al quale sono iscritti proprio quegli operatori che garantiscono con la loro altissima professionalità la sicurezza dei cittadini, lascia alquanto perplessi. Se anziché parlare di apertura dell’Asinara si discutesse seriamente di come coniugare l’esigenza sacrosanta di sicurezza con la libertà degli individui, il rispetto dei popoli, l’inclusione di chi ha sbagliato, se ragionassimo in termini di società relazionale potremmo definirci un paese adulto. Ma siamo, a quanto pare, ai soliti comportamenti individualisti e inutili, demagogici e populisti che non portano, davvero, da nessuna parte. Una volta c’era chi urlava “fiato alle trombe”. Con il tempo sono diventati tromboni.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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