Partirei, per comprenderci, dal laudato sie di San Francesco, non solo per Sora Luna e le Stelle ma, soprattutto, per “sora nostra madre Terra la quale ne sostenta e ne governa, e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba”. Partirei da queste immense parole per provare, con spirito squisitamente laico, a comprendere quelle che ha detto il vescovo di Rieti Monsignor Pompili durante i funerali di alcune delle vittime morte durante il terremoto: “Dio non può essere usato come capro espiatorio (…) ma è l’uomo che uccide, anzi le sue opere”. Parole dure, fortissime, che non trovano sicuramente conforto e pietà ma che raccontano una certa verità. Di terremoto se ne parla ormai da giorni e tutti hanno provato a raccontare, analizzare, tentare di capire. Lo abbiamo fatto anche noi di Sardegnablogger con la caratteristica che ci contraddistingue da sempre: analisi oltre la pancia. Non è semplice soppesare le parole, i gesti, le lacrime che fuoriescono senza neppure volerlo. L’emozione sopraggiunge e si fonde con la ragione, restituendoci immagini non proprio nitide di ciò che è realmente accaduto. Ecco perché occorre partire da lontano, da quel cantico delle creature che un piccolo grande uomo provò a scolpire tra le stelle dell’universo. Quel cantico che è l’assoluto rispetto per la natura e per l’armonia del cosmo. Ne abbiamo parlato diffusamente e lungamente ormai in moltissimi articoli: le alluvioni di Olbia, di Uras, di Capoterra, i fuochi, la distruzione del suolo, i terremoti, le catastrofi naturali non sono e non possono essere opera di Dio. Troppo facile e poco serio. Verrebbero esclusi da questa ricostruzione degli avvenimenti tutti gli atei e i miscredenti, i sostenitori di un Dio che non è quello disegnato dalle nostre scritture. Insomma, laicamente ha ragione un cattolico come Monsignor Pompili: Dio, non solo parrebbe innocente, ma siamo noi che abbiamo ucciso con le nostre opere. Troppo semplice gridare governo ladro (qualsiasi governo) perché quel governo che tanto processiamo i soldi li aveva stanziati. Poi, qualcuno ha dimenticato, pasticciato, nascosto e qualcun altro ha fatto finta di non vedere, capire, tanto mica cade una scuola che il terremoto non è una cosa seria. Troppo semplice prendersela con il politico di turno quando abbiamo accettato tutti i condoni indicibili, quando abbiamo costruito sul letto di un fiume, vicino ad un delta, davanti ad una montagna. Poi, sora nostra madre terra la quale ne sostenta e ne governa il conto ce lo chiede. Dobbiamo comprendere (e dobbiamo comprenderlo davvero) che le strade le abbiamo segnate noi, che non possiamo permettere agli uomini altre carneficine solo perché siamo convinti che, tanto, dalle nostre parti il terremoto non ci sarà, le bombe d’acqua sono cose d’altri, i fiumi sono sempre asciutti e il mare è nostro amico. Sora nostra madre terra ci guarda e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba. Poi, di tanto in tanto si stiracchia, urla e si distende. Tutti lo sappiamo e lo sappiamo da sempre. Lo sapeva anche San Francesco che ci regalò, per primo, il rispetto assoluto per la terra: l’armonia più alta e significativa. Poi magari, per chi ci crede, il Signore ci mette del suo. Ma io, a guardare le costruzioni, i ponti, i valichi, avrei davvero molta più paura degli uomini stolti e codardi. Le lacrime non servono a lavare il dolore. Sono strade lastricate da anni di errori e di morti. Si dovrebbe cominciare, oltre che a ricostruire, a rivedere chi ha deciso negli anni di approntare piccole zattere per attraversare gli oceani. Lo spirito di avventura presuppone il coraggio ma non contempla la stupidità. Proviamo a guardare con occhi diversi quella madre terra che ci sostenta e ci governa e proviamo a comprendere che noi facciamo parte della terra e non possiamo (e non dobbiamo) provare a governarla. Laicamente e senza urlare frasi che, davvero, hanno poco senso.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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