Io me le ricordo le canzoni stonate, urlate al cielo lassù, con una chitarra e molta fantasia. Me le ricordo le poesie scopiazzate tra Montale e Neruda o, per i più semplici, tra Pascoli a Carducci, tra un verde melograno e non recidere forbice quel volto. E ricordo che si doveva imparare tutto a memoria. Già. Serate passate a ripetere poesie che non capivi e che avresti amato solo più tardi, da adulto. La cavallina storna e il cinque maggio, quei cipressi che si trovavano a Bolgheri alti e stretti e nessuno immaginava questi strani paesaggi, come quel colle dove si poteva scrutare un infinito che pareva un altrove smisuratamente lontano: Recanati. Paesi che non si conoscevano perché a quei tempi non c’era wikipedia a darci almeno un aiutino. Siamo cresciuti tra le parole in rima e tra luoghi completamente sconosciuti. Ho immaginato per anni di potermi recare a Mompracem, dove Sandokan girovagava tra le tigri. Ho camminato dagli Appennini alle Andre, ho provato a capire perché Cristo si fosse fermato a Eboli, molto lontano da Gerusalemme. Avevamo un mondo piccolo nella realtà ed enorme nella fantasia. Eravamo piccole vedette lombarde alla ricerca di luoghi da contemplare. Mi dicono che a scuola non si imparano più le poesie a memoria. Dovrei essere felice perché da piccolo non mi piaceva ripetere le strofe di un altro senza poterle modificare. Ero, a mio modo, un piccolo creativo. Quelle strofe adesso le rimpiango. Provate a ricordare le parole che avete imparato a memoria. Fa decisamente bene al cuore.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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