Qualche tempo fa, dopo aver visto il film Departures e avergli dedicato alcune riflessioni, ho conosciuto un giovane, un ventottenne che di professione fa l’operatore funebre e in particolare si occupa di tanatoestetica. Cioè, come nel caso del protagonista del film, attraverso tecniche e azioni, cura l’igiene della salma e ridona quell’aspetto che i parenti hanno impresso nella loro memoria.
Per regalare quel volto familiare, un’ultima volta.
Il ragazzo si chiama Mattia Baldovin, lavora a Padova e la prima cosa che mi incuriosisce, e che chiedo, è come ci si avvicini a questo lavoro. Trovo che uno dei requisiti fondamentali sia infatti una concreta sensibilità e quel giusto equilibrio per amare tutti gli aspetti del tuo lavoro senza però farti inghiottire dal dolore che necessariamente comporta la morte di una persona. In sintesi: la giusta empatia e il giusto distacco.
Insomma Mattia ha iniziato per caso, poi si è appassionato sempre di più sino a non perdersi un corso o master. «Ho iniziato a diciotto anni, cercavo lavoro con una miriade di curriculum ma nessuna risposta. Alla fine, proprio per ultime, ho lasciato le Agenzie Funebri. Quando chiamavo, dicevo tutto d’un fiato “Viservequalcunonovero? Saluti” e mettevo giù» C’è stata poi l’ultimissima in lista che riesce a rispondere prima di qualsiasi interruzione “Sì! Venga per un colloquio”
Colloquio di due ore il venerdì e il sabato già lo ricontattano per dirgli che “Ok, per noi va bene, può iniziare da lunedì” Come sì? Come lunedì? Diciamocelo chiaramente, la paura è umana. Il pensiero che ti troverai davanti alle salme, vivrai ripetutamente con varia frequenza la disperazione dei parenti, potrebbe tormentarti.
«Invece poi ti rendi conto che la morte fa parte della vita e la accetti. Il mio compito è di trasmettere serenità ai dolenti e non amplificare quella morsa che inevitabilmente stringe stomaco e cuore» Serenità a iniziare dall’ambiente in cui si accolgono i parenti. I colori degli arredi e dell’outfit devono essere sobri ed eleganti né troppo accesi ma neanche troppo cupi. «Non siamo in un film horror» l’aria greve deve essere stemperata. Ovviamente con tatto: «Mai accogliere con un “buongiorno” o “buonasera”… Se qualcuno entra in un’agenzia funebre, non è evidentemente un buongiorno»
Mai fumare in servizio, il sentore di fumo è quanto di più sgradevole. Gli odori forti si mischiano al dolore e lo amplificano. Ancora peggio l’alcol che ovviamente è vietato in servizio, non solo per l’odore. Arriva il lunedì per Mattia e si parte da subito con la formazione. E gli amici? Come hanno preso la notizia del nuovo lavoro? Molti hanno preferito allontanarsi per quella assurda scaramanzia che investe anche le persone più “razionali”. Altri avevano uno stile di vita comunque incompatibile con il suo lavoro. Cioè gran parte dei coetanei erano assidui habitué di locali e discoteche. Ma per non entrare in contrasto con la sua figura professionale, ha preferito seguire uno stile di vita più sobrio. Senza rinunciare al divertimento, chiaro. Ma conservando una parte del suo abito anche dopo il lavoro.
Cosa è e cosa fa il tanatoesteta. «Simbolicamente togliamo le fatiche di una vita lavando e pulendo il defunto. È una pratica delicatissima perché entriamo nella parte più intima sia del deceduto sia dei suoi cari. Laviamo, vestiamo trucchiamo. Normali gesti quotidiani che per richiesta di una famiglia, svolgiamo noi. Da parte dei familiari vuol dire “io mi fido di te e ti affido ciò che amo”. Tanto più l’operatore saprà curare il defunto quanto più i parenti avranno un ultimo dolce ricordo nel cuore. Troveranno la forza di salutarlo non con paura ma con serenità»
C’è poi un aspetto che viene fuori dal film Departures. Nella scena iniziale del film il giovane operatore lava il corpo di una ragazza davanti ai parenti, nascondendo comunque il corpo con un lenzuolo. Una volta arrivato alla zona inguinale, si ferma sorpreso. Decide di rivolgersi ai genitori della defunta “Volete che la vesta da uomo o da donna?” È un passo che colpisce nel film perché fa comprendere quanta sensibilità e delicatezza sia richiesta.
A proposito di questo, Mattia racconta che di norma chiede una foto che rappresenti il volto così come si è sempre conosciuto. Ad esempio, se nell’ultimo periodo una persona si ritrova con una barba non voluta, quando per una vita ha portato i baffi, il tanatoesteta si occuperà di restituire quei baffi tanto familiari a parenti e amici. E ancora se una signora non ha curato troppo il suo aspetto, non si è mai interessata a eliminare peletti del viso, sarebbe impensabile fare cerette e spinzettature varie. Non sarebbe stato da lei.
Restituire il volto di una vita e togliergli qualunque sofferenza. Ma non è solo questo. Lì sta la differenza. Il bravo tanatoesteta, come nel film quando chiede “Volete che la vesta da uomo o da donna?” vuole sapere cosa deve ridisegnare su quel corpo. Ciò che il defunto ha indossato come il migliore e più prezioso dei vestiti: la sua identità.
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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