pubblicato il 18.3.2015
“Taci, sei una donna!”
Vocia con insolenza il barbuto islamista in collegamento da Londra alla bella giornalista dello studio di Beirut.
Rima Karaki decide di interrompere la conversazione con lo sheikh, pretendendo rispetto e ordine nel dibattito. Il collegamento si chiude.
Pochi minuti di video, la giornalista araba bella e fiera da una parte, il prepotente islamista che si scaglia contro di lei, dall’altra.
C’è materiale quanto basta perché il documento si diffonda e conquisti una buona fetta di spazio sui social e sulle pagine on line dei quotidiani, scatenando entusiasmi estemporanei.
Decido di guardare quel video, perché intravedo il logo di un ente familiare: “MEMRI TV”.
Nel 2008 scrivevo la mia tesi triennale sul ruolo dei media nel conflitto arabo israeliano e una parte era dedicata ad una breve analisi su questa organizzazione, il Middle East Media Research Institute.
Il MEMRI vuole colmare il gap linguistico tra l’Occidente, il Medio Oriente e l’Asia, fornendo analisi originali sui trend politici, ideologici, culturali, intellettuali e religiosi.
Questa la mission dichiarata e per nulla sottovalutabile, visto il sempre crescente interesse verso il mondo arabo musulmano.
Reperii uno dei pochissimi contributi che analizzavano il lavoro del MEMRI, un articolo di Brian Whitaker del britannico Guardian.
Whitaker si era mostrato incuriosito da come l’ente “no profit e indipendente” – così si presentava e si presenta tuttora il MEMRI- rifornisse generosamente lui e i suoi colleghi di regolari report e traduzioni via mail, in maniera assolutamente gratuita.
Il giornalista decise di guardare più a fondo, scoprendo alcune stranezze.
Notò per prima cosa l’impossibilità di contattare una delle sedi – quella centrale di Washington e le altre dislocate a Gerusalemme, Londra, Berlino.
Veniva citata un’intervista rilasciata al Washington Times in cui un ex dipendente spiegava come questa fosse una precauzione giustificabile con la volontà di prevenire possibili attentati suicidi. Era era il 2002, meno di un anno era trascorso dall’11 Settembre, ma l’ipotesi di un atto di questo tipo agli occhi di Whitaker sembrò un’esagerazione, dal momento che si parlava di un’organizzazione che si prefissava di fornire meri servizi di traduzione, per quanto di alto livello.
Sono passati alcuni anni, e nel sito del MEMRI è possibile reperire dei contatti della sede centrale americana.
Tuttavia, il disappunto di Whitaker andava oltre e riguardava lo specifico operato dell’ente, ovvero, il contenuto dei materiali tradotti, analizzati e messi a disposizione.
La tesi del giornalista era chiara: l’attività del Middle East Media Research Institute era puramente propagandistica, frutto di un’opera di selezione del materiale tutt’altro che imparziale e utile alle esigenze dell’amministrazione Usa impegnata in Medio Oriente, così come al governo israeliano. In uno scambio di mail col fondatore del MEMRI, Brian Whitaker segnalava addirittura grossolani errori di traduzione. Aggiungiamo che l’interlocutore e ideatore del MEMRI, Yigal Carmon, è un ex colonnello dei servizi segreti israeliani.
Altre “sviste” linguistiche furono segnalate dal politologo Mohammed El Oifi in occasione della traduzione di un sermone pronunciato dall’islamista Hani al Sebai durante una trasmissione televisiva di Al Jazeera, in cui il senso del testo veniva eccessivamente travisato.
L’analisi di Whitaker sui video pubblicati e tradotti da MEMRI TV resta valida ad anni di distanza.
Se si scorre la pagina non si visualizza che il peggio del peggio di quello che possa passare in tutte le televisioni di tutti i paesi arabi, nel tentativo di far pensare che questo peggio sia corrispondente al tutto.
Provate a leggere i titoli dei video, per credere.
Naturalmente, troverete con estrema facilità il video che oppone la giornalista libanese e l’irruento islamista che, per una curiosa coincidenza, è lo stesso del caso analizzato da Mohammed El Oifi.
Viste le premesse, decido di contattare un amico siriano e gli chiedo di tradurre dall’arabo il video.
Quel video che, per fare un esempio, nel sito de Il fatto quotidiano è presentato con la scritta:
“ Libano, l’esperto usa frasi sessiste: «Taci, sei una donna»”.
Il mio amico rivede il filmato più volte e il suo giudizio è chiaro:
Al Sebai contesta la donna per le interruzioni alzando la voce, lei rivendica il suo diritto a gestire come vuole il tempo concesso dalla trasmissione. L’intimazione a tacere in quanto donna non è presente. Si percepisce, piuttosto, il segmento “ Tu sei una donna …” , interrotta dalla fine del video.
Insomma, ridimensionando: in base a questi due minuti di documento potremmo classificare il signor Sebai come un personaggio un tantino sopra le righe, piuttosto scortese, magari non esattamente gradevole da guardare e ascoltare; e la giornalista come una persona che gestisce abbastanza bene la trasmissione che conduce.
Una cosa simile ai battibecchi televisivi tra una Bianca Berlinguer e un Maurizio Gasparri.
Con la differenza che Gasparri, nelle pagine dei quotidiani web del Medio Oriente, manco ci arriva,per fortuna loro. E anche nostra.
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