Recentemente ha destato scalpore una ricerca del Dipartimento delle Scienze biologiche, antropologiche e ambientali dell’Università di Bologna, finanziato dalla National Geography Society, che dimostra come vi sia una significativa continuità genetica tra i sardi di oggi e quelli di ieri. Caso molto raro, che unisce i sardi a poche altre popolazioni tra quelle europee (i Saami della Lapponia e i Baschi della Spagna e Francia settentrionale) che, per diverse ragioni, tra cui la cosiddetta “deriva genetica”, hanno mantenuto una interessante eredità genetica. Fenomeno, in realtà, conosciuto sin dagli anni ’80, epoca della celebre equipe dello scienziato Cavalli-Sforza (Storia e geografia dei Geni umani di Cavalli-Sforza, Menozzi e Piazza, Princenton University Press) che grazie agli studi compiuti prima in Italia e poi negli States, era riuscito a comporre una prima mappatura pionieristica dei geni a livello mondiale. Nel corso degli anni e con l’affinarsi della scienza della genetica, vari studi compiuti dagli istituti scientifici, tra cui quelli delle Università di Cagliari, di Sassari e di Pavia, avevano evidenziato come vi fosse una continuità genetica, in Sardegna, tra le popolazioni antiche e quelle moderne. Questo è il motivo per cui il patrimonio genetico dei sardi è il più studiato e anche ambito per ragioni economiche, talvolta oscure. Tuttavia, spesso confondendo la storia delle genti con quelle dei dominatori, come da inveterato vizio storiografico, per anni è stata sostenuta l’idea, che “i sardi di oggi non sono quelli di ieri”. Questo perché le dominazioni e gli influssi, secondo questa prospettiva culturale che, alla fine, si è diffusa come stereotipo, sarebbero stati tali e tanti da produrre un miscuglio di popolazioni da cambiare completamente il pool genetico originario. In pratica veniva ribaltata l’eccezione con la regola. La Sardegna ovviamente è un miscuglio genetico ma, rispetto al contesto, lo è molto di meno. Questa argomentazione dimostra come isolando dal contesto il dato, si può tranquillamente manipolare la relazione tra i fatti. Il dato isolato dal contesto, evidenziato in modo indebito, viene così utilizzato all’interno di una visione riduzionista della storia della Sardegna, ed in particolare dell’epoca nuragica. Come a sostenere che, in fin dei conti, l’antica, antichissima storia della Sardegna, non è cosa che ci riguardi. La presunta discontinuità genetica dei sardi, infatti, è stata utilizzata anche in ambito ufficiale, in molti testi universitari e seminari accademici, come “presa di distanza”. La ritroviamo, sovente, all’interno di quella corrente di pensiero “decostruzionista”, che tanto successo riscuote, ormai da tempo, nelle scienze umane, e che considera tutto quello che è relativo all’identità, alla storia locale, alla tradizione, come un artificio, un’invenzione, un artefatto culturale. E’ inutile dunque che ci appassioniamo alle vicende antiche della Sardegna, pare dicano i sostenitori della discontinuità genetica e culturale, tanto i sardi di ieri non sono i sardi di oggi. In realtà ci troviamo di fronte ad una vera e propria manipolazione culturale di tipo egemonico, prodotto dal congegno “costruzionista” più potente mai inventato nel corso della storia dell’umanità, lo stato nazione, al quale si attiene una certa tradizione accademica conservativa ma anche un malinteso senso della sobrietà scientifica e culturale, condito da una certa dose di elitarismo intellettuale. Questo continuo tentativo di spezzare il legame dei sardi di oggi con i sardi di ieri, ovvero con la loro storia, è un fenomeno culturale significativo per comprendere come, in Sardegna, il processo di nazionalizzazione culturale e di sudditanza politica ed economica abbia assunto un interesse di studio, tanto da averlo a lungo analizzato e averci scritto un libro (La Mano Destra della Storia, Carlo Delfino Editore). Questi condizionamenti economici e politici infatti interferiscono sulla produzione stessa di una storia ufficiale, riducendo o addirittura negando quella della minoranza etnica, specie se, come nel caso sardo, ha una storia antica talmente significativa da disturbare quella ufficiale e quella nazionale. Il problema della genetica va, ovviamente, trattato con i guanti per le implicazioni politiche e strumentali, e per una certa tendenza all’esaltazione del dato identitario. Il passato recente ci insegna, tristemente, come il razzismo si sia alimentato da una falsa base genetica. Ma neppure si può passare da un estremo ad un altro non facendo dialogare tra loro le discipline scientifiche, e trascurare una branca così importante per le analisi storiche e antropologiche, al fine di oscurare la storia di un popolo e opprimere le sue prerogative etniche e culturali. Se la strumentalizzazione del dato genetico non è lecita, infatti, altrettanto illecita è la strumentalizzazione dell’oscuramento di quel dato, per scopi che, invertendo i rapporti causali, non differiscono molto da quelli. Che sempre di dominazione culturale, politica ed economica si tratta.
foto tratta da Storia e geografia dei Geni umani di Cavalli-Sforza, Menozzi e Piazza, Princenton University Press
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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