Scopri che i centenari dell’Ogliastra e gli altri che vivono nelle cosiddette Blue Zone, si nutrivano di alimenti che oggi vengono, talvolta giustamente, demonizzati. Vedi il lardo di maiale ad esempio. Presente in ogni zuppa o minestrone della tradizione ogliastrina.
Ho scritto “talvolta giustamente demonizzati” sì ma senza generalizzare perché entrano tanti di quei fattori in gioco che ti fanno dire: c’è grasso e grasso.
Abbiamo imparato la lezione che gli omega-3 contenuti nel pesce azzurro, sono grassi “che fanno bene”. In realtà anche il suino allevato in un certo modo e con una certa alimentazione, le cui carni vengano conservate e stagionate in una certa maniera, possiede un grasso ricco di quei preziosi omega-3.
Prendi il maiale sardo, eletto nel 2006 come razza autoctona e che da allora fa compagnia alle altre razze italiane riconosciute: Cinta Senese, Mora Romagnola, Nero Siciliano, Casertana e Apulo-Calabrese. Per essere definito di razza Sarda deve possedere tutta una serie di caratteristiche morfologiche in particolare un manto con setole lunghe e spesso ondulate, il colore che va dal nero al rosso, uniforme o pezzato ma non deve possedere striature. Così come le orecchie dovranno essere pendenti e non diritte etc etc.
Ebbene, scopro, parlando con lo chef Pulina, grande appassionato della cultura gastronomica sarda (oltre che geniale nel suo lavoro), che il suino sardo ha tutta una serie di peculiarità che non hanno niente da invidiare al pregiatissimo jamon serrano. Incuriosita dalle proprietà delle carni e del grasso del maiale allo stato brado, ho contattato il dottor Roberto Pili, presidente della Comunità Mondiale della Longevità, un’associazione che collega l’Ogliastra a Okinawa in Giappone e un’area della Corea del Sud (Gu.Gok.Sun.Dam acronimo dei nomi di 4 contee). Tutte zone accomunate da un numero rilevante di centenari. Il dott. Pili ha spiegato bene quali siano però le condizioni per considerare i prodotti ottenuti dalla macellazione del suino, come “cibo buono”, buono intendo per il palato ma anche per la salute. Cercherò di sintetizzarli: Allevamento. Il suino di razza sarda è cresciuto sempre allo stato brado e questo è un punto a favore della qualità. Muscolatura magra, e i suoi grassi con un rapporto ottimale tra omega-6 e omega-3. C’è però un problema che riguarda l’allevamento allo stato brado: la peste suina, una piaga che ci riguarda e che incide sull’economia degli allevatori e sull’export (quanti di voi studenti fuori sede hanno nascosto tra i bagagli qualche salsiccia di ritorno dalle vacanze sarde? Vi ho beccati eh?!) Un allevamento intensivo è invece una bomba per la nostra salute. Ormoni e antibiotici necessari per un tipo di allevamento del genere, ce li ritroviamo poi sul piatto o dentro il panino. Non vi dico niente di nuovo. La via di mezzo, lo stato semi-brado sarebbe un ottimo compromesso. Grazie a questa “via di mezzo” con maggior controllo da parte degli allevatori, si sta finalmente debellando la PSA. L’Alimentazione del suino. Avete presente il binomio maiale-ghianda? Lo avrete sicuramente disegnato alle elementari, parlo delle generazioni prima dell’avvento di Peppa Pig. La ghianda è ancora l’alimento dei suini iberici, quelli del gustoso jamon. E lo è anche per il suino sardo. Tra l’altro dalle ghiande si produceva anche un tipo di pane (destinato all’uomo) proprio nelle zone dell’Ogliastra Scarti caseari sono invece un cibo probabilmente più economico e più usato negli allevamenti intensivi.
Alimentazione e tipo di allevamento sono due fattori che devono necessariamente convivere per ottenere quella qualità di cui stiamo parlando. Per gli insaccati, si aggiunge un altro “problema” dovuto alle leggi di mercato: tuttosubito e possibilmente pochicosti. Il problema dei salumi, come mi spiega il dottor Pili, sono i conservanti. Nitriti e nitrati sono tra i maggiori indiziati di alcuni tipi di tumore. Se la stagionatura seguisse un corso meno accelerato, coi dovuti tempi, basterebbe utilizzare sale e spezie come facevano i nostri nonni e i vostri bis-nonni. Eliminato anche questo problema, rimane solo da passare alla cassa e lo sappiamo che la qualità si paga. Siamo stati abituati a risparmiare su una cosa importante come l’alimentazione. Ma la tendenza ora è una maggiore attenzione ai prodotti di qualità. Qualità del gusto e per la salute.
Da non sottovalutare anche il decantato “chilometro zero”, non snobbatelo come fosse una moda radical-chic, ha i suoi buoni motivi per esistere, uno tra questi è il nostro microbiota intestinale, ereditato dai nostri antenati per generazioni e che giustamente familiarizza meglio con nutrienti conosciuti e riconosciuti da secoli. Casomai diffidate un pochino dagli alimenti eletti dalla moda del momento. Seguire l’esempio degli uomini più longevi del mondo, come spiega Roberto Pili, vuol dire sì seguire una dieta ma soprattutto vuol dire praticare “temperanza alimentare”, i giapponesi lo chiamano Hara hachi bun me ovvero alzarsi da tavola senza essere completamente sazi. Pochi eccessi nel mangiare e nel bere. Il canonau lo bevevano sì ma sempre con moderazione. E ultimo ma non ultimo, il movimento fisico. I pastori ogliastrini macinavano chilometri e chilometri, un contapassi moderno misurerebbe anche 40mila passi quotidiani. Fate un po’ i conti. Del resto neanche l’uomo è nato per vivere in un allevamento intensivo.
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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