Succede che in un pomeriggio di fine agosto che sembra settembre (giuro che affacciandomi dalla vetrata del salone, ho visto un rimorchio di trattore carico di casse d’uva nera appena vendemmiata), dicevo, capita che in un pomeriggio eccetera, io mi metta la giacca. Io la giacca non me la metto praticamente mai. Meno di una volta all’anno, di norma. E però ieri sapevo che ci voleva la giacca. Io me lo sentivo, che ci voleva la giacca. Sono arrivato lì (Cantine Surrau, sulla strada per La Punga, si, insomma, per Santa Teresina, vabè, per Porto Cervo), e c’era ancora un’aria tranquilla. E così è rimasta. Anche quando sono arrivate le sei, e poi le sei e un quarto, e poi le sei e trentasei (il mio cellulare ha l’orologio sbilenco, ma più o meno…) e la gente era già seduta. Tanta gente. Tanta gente fresca e leggera, come non mi capitava di vedere da tempo. La folla ha sempre qualcosa di brutto, di pesante, di sgradevole. Ieri la folla è rimasta fuori anzi, manco si è vista, lasciando il posto a tutte quelle persone leggere e fresche -complice anche il condizionatore dei frati Demuro. E alle sei e trentasette, ci siamo guardati e abbiamo detto: Iniziamo? Ajò, iniziamo. Ma poi non abbiamo iniziato. Eravamo un po’ come i cavalli al Palio di Siena, che c’è una regola che non ho mai capito ma più o meno è che se non sono tutti in una certa posizione non possono partire, e se sembra che sono in posizione ma uno si sposta, gli altri si fermano. Ma poi scocca l’attimo, che tutti lo aspettano e nessuno lo controlla da solo, in cui si inizia. Io a un certo punto ho visto Giorgioni scendere a testa bassa verso il tavolo che mi sembrava un cavallo (Giorgioni, non il tavolo) e lì ho capito che era l’ultimo cavallo che doveva entrare nel recinto e che poi saremmo partiti. E infatti. Ho aperto io. Con un inno al vino e al cibo della Sardegna (ma non solo), e alle parole che noi Sardi (ma mica solo noi) riusciamo a dirci nei momenti belli, e ho invitato tutti a brindare, e a ricordarsene sempre. E poi è partito il fiume. La gente rideva (ma rideva veramente, specialmente Gristolu Christophe Thibaudeau che ha fatto un Riding nel Reading, spettacolo puro), e poi piangeva (la gente, non Gristolu). Io, qualcuno toccarsi gli occhi facendo finta di niente, l’ho visto/a, cosa vi credete? Anzi, a un certo punto l’ho fatto anche io. E il fiume andava avanti, anche con gente come Marco Zurru e Roberto Bolognesi, che non se la potevano baliare che non c’erano, e neanche noi, e allora hanno mandato un video ed è stato come se ci fossero. Ma veramente. O come Daniele Gessa, che è venuto da Londra, no, dico, da Londra. E io ogni tanto mi giravo e vedevo le persone che c’erano alle 18.37, ed erano sempre lì, ferme, immobili. Sembrava che si potesse fermare la scena e sentire i cuori di tutti che battevano. Stavano fermi e ascoltavano. Ascoltavano. É bellissimo guardare le persone che ascoltano altre persone. In quel flusso di suoni e segni si nasconde e si protegge la storia degli esseri umani, e non solo quella. In mezzo alle parole poi c’era la musica, e due musicisti grandi e discreti, che hanno reso bellissima una cosa che già era bella. Pasquale, che si muoveva come un metronomo dal computer alla chitarra e dalla chitarra al computer, e Tony, che è rimasto fermo come un maestro di Kung Fu, che se crollava la sala lui non si sarebbe spostato, e nemmeno il suo sax. E infatti l’ho ribattezzato Sax and Zen. E poi Giorgioni ha chiamato due amici vicino a lui e ha letto un pezzo che la gola mi si è stretta, e non riuscivo a ingoiare bene, e il respiro spingeva sul diaframma (o il contrario) e mi sentivo come se avessi un rospo in petto. Poi è finita. C’è stato un applauso che io ancora sorrido come un bambino se ci penso (come adesso che lo sto scrivendo). Era passata un’ora e mezza. E io ho guardato, e le persone erano ancora tutte lì. Anche quelle anziane e anche quelle giovanissime (che si sa che quando si rompono i coglioni prendono i piedi e spariscono). Tutti lì. E mi viene da dire grazie di cuore a tutti quelli che c’erano, a tutti quelli che non c’erano ma c’erano lo stesso, a tutti quelli che non c’erano ma avrebbero voluto e a quelli che ci saranno (perché quella era solo la prima). E grazie alla Sardegna, e a Sardegnablogger. Che io una serata così bella, forse non me la sarei mai immaginata. Prima. Ora invece sì.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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