Le migrazioni sono il più grande business politico dell’era globale (che poi… “era globale”! Chi pensa che questo sia il massimo della globalizzazione significa che non ha mai incrociato un libro di storia per le scuole medie). Provocano all’inizio una indefinibile paura per il diverso, specie se la diversità ha evidenti connotazioni fisiche e se per di più coincide con una estrema e imbarazzante indigenza che costringe alla mendicità o ad attività collaterali. Questa paura viene poi incanalata in una struttura di pensiero falsa ma credibile in un contesto di crisi e ingigantita dalla politica che vuole specularci sopra. Si va da “ci rubano il lavoro” a “lo Stato a questi qui gli paga le baby sitter per tenergli i figli mentre loro ci rompono i coglioni chiedendo l’elemosina”. Ma qual è questa politica che come moscone da merda svolazza intorno ad antiche paure sociali per spartirsi voti? Uno pensa subito a Salvini, cioè alla parte più evidente di questa nuova destra che da alcuni anni fa rimpiangere persino Berlusconi, come Berlusconi faceva rimpiangere Adreotti e come Andreotti faceva rimpiangere non dico chi per decenza, dimostrando comunque che questa faccenda di rimpiangere non porta da nessuna parte ed è meglio incazzarsi quando si è finito di piangere. Il gioco di Salvini è talmente evidente che secondo me è ormai diventato inutile anche per lui. Ha un suo elettorato che lo identifica come specchio delle proprie paure più che come effettiva diga contro un fenomeno che anche i più ignoranti in fondo al cuore sanno non essere alla portata di Salvini e di gente come lui. Quelli che mi sconvolgono sono coloro che in altri ambienti politici tentano di rubare le ghiande a Salvini o di raccattare quelle che a lui avanzano. I più evidenti sono i Cinque Stelle, che sulle paure e i luoghi comuni si precipitano come ho visto fare l’altro giorno, durante una passeggiata dalle parti di Alghero, a certi grandi uccelli dal collo lungo e ritorto alla cui base c’è un ciuffetto di piume, che volteggiavano maestosi su un pendio da un anfratto del quale si sprigionava un discreto odore di carogna. Ma mi turbano maggiormente quelli della mia parte, quelli della sinistra – e non mi riferisco soltanto a certe derive del Pd – che esercitano un populismo ammantato di politically correct alla falce e martello e dicono che “è troppo facile difendere gli zingari quando il peso della loro presenza grava soltanto sui quartieri popolari” o che “non bisogna lasciare alla destra la gestione dell’oggettivo sconcerto provocato dall’invasione straniera”. Ecco, questi qui fanno rimpiangere Berlinguer e Gramsci. E questo è un rimpianto vero.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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