Raffaele Farina, si chiamava. L’amico, Costanzo Cugurra. -Ma tu mai visto l’hai il teschio di un’orfanella che te ne esce da sottoterra e ti fa il sorriso? -Non l’ho visto, io, no. Di roba ne ho vista, io. Ma quella roba no. I due si guardarono ghignando al tavolo dell’Ufficio Tazze, che poi era il vindiolo di largo Pazzola. Raffaele, con i peli spinosi sulle guance secche che sembrava Eduardo De Filippo, neppure si voltò a dirmelo in faccia. Lo disse a Costanzo -Questo qui ancora non lo sa che cosa vuol dire cagarsi addosso. A me questa storia del cimitero sotto le poste di via Brigata Sassari me l’hanno detta per la prima volta quei due operai vecchi come fichi secchi in una quasi notte della fine degli anni Sessanta nella bettola più bella di Sassari. Io ero un ragazzino che andava in quei posti a respirare aria di popolo vero senza capirne un cazzo del popolo vero. Ed essendo per di più quasi astemio. Quindi le uova sode non bastavano ad assorbire i primi due bicchieri di vino e andavo kappaò. C’era Costantino Spada, che dicono che beveva e per bere beveva ma ubriaco non l’ho mai visto. Anzi, faceva certe lezioni di storia dell’arte che erano una poesia perché le capivo io che la storia dell’arte la studiavo all’Azuni e le capivano i manovali intontiti dalla fatica di una giornata a portare mattoni. Una sera siccome ancora le Alfa non mi avevano già bitumato tutta la gola e ci avevo ancora una discreta voce da baritono Spada mi dice -Filighè, aiò, il prologo dei Pagliacci! E io, cotto ma libero di stomaco perché ero appena uscito a vomitare all’angolo di via Canopolo, mi alzo in piedi e attacco -Si può? Signore, signori, scusatemi se da sol mi preseeentooo, io sono il prooologo… Applausi che non ti dico, alla fine. Lui mi ha abbracciato e mi ha fatto un ritratto su un pezzo di carta. Porca puttana, la regola lì era che i ritratti di Spada andavano tutti al proprietario che li appendeva giro giro. Per un po’ c’era anche il mio, poi quando la bettola ha fallito chissà che fine ha fatto. Bah, ricordi! Insomma, la quasi notte che quei due hanno cominciato a raccontarmi quella storia non me lo ricordo se c’era anche Costantino Spada, perché a metà del racconto io non vedevo più nessuno e vedevo solo quei due che raccontavano e avevo una paura da matti. Il mese non se lo ricordavano, però dice che c’erano state le secche dei primi dell’anno che sembrava primavera e poi era arrivato un freddo da cagarsi. Quindi doveva essere tipo marzo, come adesso. Ah, già: l’anno. Quello già se lo ricordavano: 1926. Li chiama l’impresa Faedda Pietro, che poi l’impresa era signor Faedda che c’aveva qualche dipendente e umbè di cottimisti. C’era da fare l’ufficio postale, perché sino al 1928, quando Ciano ha inaugurato le Poste Nuove (Costanzo, l’amico fraterno di Mascellone che poi gli fucilerà alla schiena il figlio Galeazzo), Sassari di uffici postali ne aveva quattro, tutti piccolini, ciascuno con una funzione diversa e lontani tra di loro come al corno grande della forca. Se dovevi spedire una lettera, ritirare un pacco e fare un telegramma ci dovevi uscire in tre quartieri diversi. Chiamano l’ingegner Bruno Cipelli, un continentale diventato dirigente del Genio Civile, che tra il fatto che era di osservanza fascista (e chi non lo era, ormai) e il fatto che era anche bravo, aveva già fatto lavori grossi. Per dire, il teatro Verdi così com’è adesso dopo l’incendio del ’23, è roba sua. E anche piazza d’Italia, con il terrazzo della Provincia, il lastricato (il suo era più bello di quello con cui l’hanno sostituito in tempi moderni), le fontanelle e compagnia cantante l’ha fatta lui sempre in quegli anni trasformando la spianata di terra battuta che c’era prima. E anche il Palazzo dei Ferrovieri di via Porcellana, che è un grande condominio tanto bello che non sembra neppure un grande condominio, l’ha fatto lui. Insomma, dicono a Cipelli di fare un grande ufficio postale a ridosso della chiesa del Rosario e poi torno torno in via Brigata Sassari dove prima passavano le mura della città sino all’angolo con via Turritana. Cioè in sostanza tutta l’area del vecchio convento dei Domenicani trasformato nel 1835 in orfanotrofio femminile. Ora, per capire il clima, dovete sapere che i Domenicani non erano soltanto quei signori miti e santi vestiti di bianco che vedete ora alla chiesa di Sant’Agostino. Erano stati sino ai primi anni del Settecento anche quei frati che torturavano eretici e streghe (entrambi presunti, naturalmente, soprattutto le streghe), nel vicino Castello, in piazza Castello, dove c’era l’Inquisizione. Insomma, aria di film del terrore già ce n’era da quelle parti, anche se ancora non si era visto il celebre “Dracula il Vampiro” con Christopher Lee che nel ’59 ci fece cagare tutti addosso. Comunque dice Enrico Costa che nel 1835 c’è stato il “trasloco” delle orfane Figlie di Maria dalla vecchia casa del marchese Pilo Boyl al nuovo locale dei Domenicani attaccato alla chiesa del Rosario. Sette orfanelle, erano. Le fanno uscire alle 5 del pomeriggio e in fila indiana, con la croce davanti, le fanno camminare in tutta la città cantando le litanie della Vergine. Stile sputtanante, tipo auto da fè, tanto per cambiare, anche se all’arrivo al Rosario invece di bruciarle l’arcivescovo le ha benedette e poi le hanno ficcate nello stabilimento. E nel 1925 a Cipelli gli ordinano di fare al posto dell’orfanotrofio un magnifico ufficio postale. Le orfanelle ormai non c’erano più ed era rimasto il complesso di proprietà del Comune. Un po’ deteriorato, dicono. A meno che non siano le solite voci messe in giro quando a Sassari ce ne vogliono buttare qualcosa. Ed è successo spesso, Castello compreso. Ma adesso non farmi parlare che non voglio incazzarmi. Cipelli nella sua relazione dice che in pratica “è un raggruppamento di vecchie casupole diroccate e cadenti già da tempo abbandonate”. L’ultimo uso era stato durante la guerra (’15-’18, l’altra ancora ne mancava qualche anno) per ospitare dei senza tetto. Insomma, non ci perdiamo niente, via al piccone. I lavori cominciano nel 1925 e in questo freddo 1926 quasi tutto è già raso al suolo. Già, al suolo. E sotto? E dice Cugurra -Stavamo spostando carriaggi, vero Raffaè? Farina assente gravemente -E vedo una specie di buco verso Turritana. Sposto la terra con la pala e ne scende tutto fino a fare una voragine. E allora… -E allora siccome Costanzo era tutto cagasotto io mi inginocchio e metto la testa nel buco e vedo questo teschio di bambina che si mette a ridere… Io nella quasi notte che era già diventata notte però tenevano l’Ufficio Tazze aperto perché si erano messi tutti ad ascoltare e nessuno voleva andare via, ero terrorizzato ma ho avuto la forza di chiedere -E se era solo un teschio come ha fatto lei a capire che era di femmina e non di maschio? Farina si è consultato per un attimo con Cugurra guardandolo negli occhi e mi ha dato una risposta esauriente -Fatti i cazzi tuoi. E ha ripreso -E insieme a quella poverina ce n’erano altre sei e subito abbiamo sospeso lavori. E questo già è vero. Perché risulta che l’impresa Faedda Pietro, alle urla dei due è accorsa, ha fatto allargare il buco e ha scoperto che accanto ai primi scheletr scoperti… Ma, scusate, non ci credo manco per le balle alla questione delle prime sette orfanelle dell’ospizio ritrovate tutte insieme lì, questa è senz’altro una fioritura dei due, perché nell’Ottocento le orfanelle se morivano in orfanotrofio le portavano al cimitero e non sotto l’orfanotrofio. Insomma, c’erano migliaia di ossa. E questo è vero perché sono andato a controllare sui giornali dell’epoca. Cavolo, un campo di ossa esteso quanto tutta l’area del vecchio convento poi diventato orfanotrofio e ora demolito e sul quale doveva sorgere il grande ed elegante ufficio postale. Ossa di ogni tipo e di ogni epoca a diverse profondità, alcune più recenti e altre, dice un medico che se intende, di tre o quattrocento anni. Ma non delle orfanelle. C’erano senz’altro le ossa dei Domenicani del vecchio convento. Ma erano troppe per essere solo loro e quindi quello doveva essere anche una specie di cimitero della zona di via Turritana, a ridosso della chiesa del Rosario, come si usava prima del divieto di buttare i morti dove ti veniva bene. Che a Sassari è del 1824, contenuto in un’ordinanza viceregia che vieta il seppellimento in chiesa o nei dintorni. Oh, senz’altro prima di Calamasciu (il cimitero di San Paolo), di casini macabri già ce ne dovevano essere. Dice Enrico Costa che una volta a Santa Caterina, prima che la demolissero, quando era dove ora c’è Ademaro Rossetti in piazza Azuni, durante la messa si sente uno scoppio e tutti prima si sono spaventati e poi se ne sono fuggiti per la puzza. Ma non era la puzza di quelli che si erano spaventati di più, era un’esplosione di “gas cadaverico” dei morti stipati sotto i piedi dei fedeli. Non ti dico le cose saltate fuori dopo la scoperta dell’ossario grande un isolato. Me le hanno dette gli operai ma erano vere perché poi le ho trovate anche nei documenti. E cioè che le orfanelle in quell’orfanotrofio giravano solo in gruppo e dormivano abbracciate perché avevano paura. Un continuo va e vieni di ombre, suore spettrali vaganti nel cortile e nei cameroni. Che poi visto che lì c’erano i domenicani ci sarebbero dovuti essere fantasmi frati e non fantasmi suore. Ma può essere che le anime inquiete dei religiosi si mascherassero da religiose per non dare scandalo alle fanciulle adolescenti imponendo loro la visione notturna di spettri maschi. A meno che non lo facessero per… Ma no, non voglio neppure pensarci. Questo ossario stratificato comunque sia partiva dal Rosario e andava da via Arborea a via Turritana lungo via Brigata Sassari. -E cosa avete fatto? – chiedo ai due vecchi operai. Quelli si guardano ancora tra di loro e come rivelando un segreto -Abbiamo ricoperto tutto e abbiamo cominciato a costruire le Poste. Che segreto non è perché anche questo l’ho trovato nelle carte degli anni Venti. Mentre non ho trovato tracce del va e vieni di fantasmi di orfanelle e di fratacchioni che secondo i due vecchi avrebbe accompagnato i lavori di costruzione delle Poste di via Brigata Sassari sino all’inaugurazione del 28 ottobre del 1928, anniversario della Marcia su Roma, come fieramente ricorda Cipelli nella sua relazione. Dicono i due vecchietti che al tramonto in cantiere non ci vedevi più nessuno perché tutti avevano paura. -C’era una ragazza che piangeva sempre e si svitava la testa. -C’era un frate che gridava “Confessa, confessa” e faceva il gesto di frustare qualcuno. -C’era… -Ma, scusi, se al tramonto scappavate tutti come facevate a vedere tutte queste cose? -Fatti i cazzi tuoi. E l’altro ha aggiunto -E quando vai a fare una raccomandata alla Poste fatti il segno della croce e ricordati che cosa stai calpestando. -E se l’impiegata ti guarda con sorriso strano vuol dire che lei… Insomma, quella notte come ogni ubriaco perbene abbiamo cominciato ad accompagnarci uno a casa dell’altro e poi indietro e avanti in percorsi infiniti che evitavano l’ufficio postale. Purché si stesse tutti insieme. E quando è arrivata l’alba e i fantasmi sono tornati sotto l’ufficio pacchi e inevase, ciascuno se n’è tornato a casa sua. Nei giorni successivi sono tornato all’Ufficio Tazze e ho chiesto di Raffaele Farina e Costanzo Cugurra. -Chi? Mai visti o sentiti. Cazzo, però il loro nome sui giornali di allora l’ho trovato. Con chi ho parlato quella notte?
In alto, l’Orfanotrofio, a sinistra della chiesa del Rosario, in un disegno di Enrico Costa tratto dall’Archivio pittorico della città di Sassari (Ed. Chiarella). L’Orfanotrofio fu demolito tra il 1925 e il 1926 per l’edificazione dell’attuale ufficio postale in via Brigata Sassari. Il grande cimitero scoperto in quell’occasione è ancora lì sotto.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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