Questa strana storia di straordinario razzismo parte da un’immagine che ne evoca un’altra.
E’ il monumento dedicato nell’università americana di San Josè a Tommie “Jet” Smith e a John Carlos per quella che si può definire come un doppia impresa, e che fu immortalata in una delle più famose fotografie del secolo scorso. I due, infatti, prima si resero protagonisti di una delle più belle gare di velocità di tutti i tempi, forse la più bella in assoluto, i 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968; poi, in un epoca in cui la protesta pervadeva il mondo, in cui l’America era sconquassata dall’omicidio di Martin Luther King e dalla guerra in Vietnam, i due atleti afro-americani progettarono la clamorosa manifestazione antirazzista che li rese celebri più della loro impresa sportiva. Una impresa sportiva che, di per sé, sarebbe stata sufficiente per renderli immortali.
Ma prima, guardate bene l’immagine del monumento.
I due americani erano nettamente superiori al restante lotto dei partenti, e la gara sembrava essere un atto privato tra loro. La caratura dei due atleti statunitensi, unita al vantaggio dell’altitudine di Città del Messico, prometteva di frantumare con facilità il record del mondo.
Carlos fu il più rapido ad uscire dai blocchi. Sapeva bene che sul “lanciato” Smith, con le sue lunghe leve, era imbattibile, e quindi cercò di sorprendere l’amico rivale con una condotta di gara bruciante. Schizzò via dai blocchi come un fulmine, puntando gli avversari davanti e superandoli, nonostante il decalage della curva, ben prima di entrare nel rettilineo. Sapeva che doveva guadagnare quanti più metri possibili su Smith e infatti, all’uscita della curva, aveva guadagnato almeno 4 metri di vantaggio. All’ingresso del rettilineo finale Smith iniziò, com’era previsto, il suo recupero. Carlos apparve già contratto, mentre l’azione di Smith era fluida, la falcata distesa, e la velocità sprigionata nettamente superiore. Qui accade qualcosa di strano. I due praticamente smisero di spingere, e la loro testa sembrò emigrare altrove. Smith iniziò i festeggiamenti, alzando le braccia e sorridendo a 30 metri dal traguardo, facendo ugualmente il record del mondo. Carlos, invece, parve più preoccupato a guardarsi attorno che a raggiungere al più presto il traguardo per conquistare il prestigioso argento. Si girò una, due, tre volte verso sinistra, si scompose, sbracciando, quasi temendo che dall’interno della pista potesse arrivare il pericolo in grado di fargli perdere la preziosa medaglia. Ma il pericolo invece venne dalla sua destra, dall’esterno della pista, dove l’australiano Norman stava facendo una impresa pazzesca. Dalla sesta posizione in cui si trovava all’uscita dalla curva, il “bianco” Peter Norman iniziava la sua rimonta. Avanzando leggero, composto, Norman, in quei frangenti convulsi, mantenne l’assetto di corsa, cosa data solo alle persone dotate di un grande autocontrollo. Carlos, nonostante l’enorme vantaggio accumulato nei primi cento metri, venne trafitto proprio sul traguardo. Norman gli soffiò il secondo posto e la medaglia d’argento.
Tommie “Jet” Smith frantumò il record del mondo, 19.83 secondi. Straordinario record che sarà battuto, nella stessa pista, soltanto 11 anni dopo da Pietro Mennea.
La storia di quella premiazione è entrata a far parte della leggenda. Gli atleti avevano progettato di guantare entrambi i pugni di nero, ma Carlos si scordò i suoi. Allora Norman, che faceva parte dell’associazione degli atleti olimpici per i diritti civili, suggerì ai due atleti di dividersi i guanti. Pare che lo stesso Norman suggerì ai due colored di recarsi scalzi alla premiazione. L’effetto scenico di quella protesta fu devastante.
Com’è noto, i due atleti americani furono espulsi dal villaggio olimpico, e pagarono la loro manifestazione con successivi anni di emarginazione.
Questo è noto.
Pochi sanno, invece, che Norman, protagonista in gara e regista occulto della scena, che portava il distintivo dell’associazione ben in vista, pagò ancora più gravemente il suo gesto.
I giornali del suo paese condannarono in modo netto il gesto dell’atleta. La federazione australiana, inoltre, lo espulse praticamente dalla nazionale, nonostante fosse l’atleta di punta della compagine. Nelle successive Olimpiadi di Monaco, l’Australia preferì presentarsi senza velocisti piuttosto che convocare Norman che, peraltro, aveva possibilità concrete di medaglia.
Negli anni successivi, Carlos e Smith diventarono delle celebrità e girarono il mondo per raccontare le loro imprese sportive e quella loro disavventura.
Norman, grande atleta e grandissimo campione, fu completamente dimenticato. Alle Olimpiadi di Sidney, nel 2000, Peter Norman, uno dei più grandi atleti australiani di tutti i tempi, non fu neppure invitato.
Ora, riguardate quel monumento moderno, e pensate a quanti anni può durare l’oblio dell’ingiustizia. In una storia di ordinario razzismo, un bianco non ci fa nulla in mezzo a due neri.
Ma questa non è una storia di ordinario razzismo.
Peter Norman morì per infarto nel 2006. La sua vita è stata raccontata, nel 2009, in un bellissimo film, “Salute”, diretto da Matt Norman, uno dei migliori registi australiani e nipote dell’atleta.
E siccome nello sport, come anche nella vita, non tutto è perduto, questa storia di straordinario razzismo termina con l’immagine dell’ultima corsa di Peter Norman, grande atleta e grandissimo campione, con i due grandi vecchi Tommie “Jet” Smith e John Carlos, volati apposta dall’America all’Australia per reggere la bara di quello che consideravano come un fratello.
Anche se bianco.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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