Certi episodi della cronaca politica spiegano il perché il mondo della scuola resti un nemico di chi manovra nelle sale di comando delle Istituzioni. Nella scuola, malandata e anacronistica quanto vi pare, restano il culto del sapere e la ricerca della libertà di pensiero, inconciliabili con chi del potere ha una gestione muscolare e facilona.
Ecco perché, ad esempio, una commissione d’esame in maglietta rossa – atto di libertà di pensiero e coscienza, senza alcuna faziosità politica – suscita scandalo e abominevoli richieste di provvedimenti per i docenti che hanno scelto di aderire a quella simbolica manifestazione di solidarietà. Ma veniamo al punto.
Ai ragazzi delle scuole superiori si cerca di insegnare che poco più di due secoli fa un grande movimento di pensiero, chiamato Illuminismo, ha cambiato per sempre il modo di concepire lo Stato, la giustizia, il diritto all’espressione. L’uomo e il mondo, da allora, sono stati un’altra cosa. L’illuminismo e il Settecento ci hanno insegnato la democrazia, la tolleranza, lo Stato liberale. Due secoli dopo arrivano due politici, uno dei quali ministro, che con parole e atti sembrano calpestare le conquiste civili che quell’età rivoluzionaria ha regalato all’umanità.
Ai ragazzi che studiano la Storia moderna si cerca di far capire che la divisione tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario non è sempre esistita e, quando Montesquieu la teorizzò, tolse i pilastri su cui si reggevano gli stati totalitari, ponendo le basi per le moderne democrazie.
Quando invece Matteo Salvini chiede nella sua veste di ministro che i passeggeri di una nave vengano arrestati viola quel sacro principio di uno Stato moderno, principio per il quale un componente del governo non può intromettersi o influenzare il lavoro della magistratura, l’organo titolato a decidere arresti o altri provvedimenti.
Che un ministro voglia imporre gli arresti sembra una bestemmia ma in questo clima da vecchio west, in cui chi ha il potere lo gestisce con la brutale disinvoltura di uno sceriffo, passa tutto e tutto sembra normale. Cosa la insegni a fare la divisione dei poteri e cosa lo spieghi a fare che ogni Paese civile ha recepito questo principio, se poi il primo ministro che passa se ne fotte e cancella due secoli di storia?
Quando a scuola si spiega l’illuminismo italiano, non si può fare a meno di dedicare delle lezioni ai giuristi e filosofi Cesare Beccaria e Pietro Verri. L’uno ci ha spiegato l’insensatezza concettuale della pena di morte, inducendo il Granduca di Toscana ad abolirla qualche anno dopo, l’altro ha dimostrato in un bel saggio che la tortura non serve ad un beneamato cazzo. Non perché a lui non piacesse, ma perché l’osservazione da scienziato dei casi processuali dimostrava in maniera netta quanto i metodi brutali non servissero a conseguire una giustizia più giusta. Ed ecco perché la tortura, in quel clima di riforme culturali, venne lentamente bandita, fino ad apparirci oggi una bestialità inconcepibile.
Oggi la parlamentare Giorgia Meloni ha chiesto che venga abolito il reato di tortura, da lei interpretato come un intralcio al lavoro delle forze dell’ordine.
Perché queste bestialità possano passare come ordinarie iniziative politiche, occorre delegittimare quella parte della società che pensa e cerca di tenere ben presenti le conquiste del passato. Domani, in una lezione su Montesquieu e Verri, uno studente con un minimo di sguardo sul mondo potrà sempre dire al suo docente che quei principi sono superati e non valgono più. Perché lo hanno detto Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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