Perché chi viene in Sardegna a volte non capisce?
Qui si viene per stanchezza, perché si vuole desiderare ancora, perché è bello, perché la moglie sa trovare i low cost e allora si parte.
E si viene in Sardegna.
Un tempo andare in Sardegna aveva qualcosa di magico o di terribile. Si sono affievoliti sia il magico che il terribile. Ma il magico resiste ancora un po’.
La Sardegna è difficile da spiegare, molto.
Difficile spiegare a chi viene per restare incantato e scordare qualcosa di sé, che anche noialtri abbiamo una vita normale, e non è che sia sempre vacanza. Una vita in cui fai i conti con un mare infinito che ti tiene lontano dal mondo. Ti paga a colpi di bellezza, secondo lui, ma non è che sia sempre sufficiente.
Tant’è.
Ecco, per esempio. Considerate una spiaggia. Una qualsiasi di quelle su cui -piazzato l’ombrellone e messe le cuffie- vi aspettate di guarire da anni di Roma, di Torino, Forlì o Pontassieve. Quando ci giocate sopra, lei dorme. D’estate le spiagge dormono. Il loro è un sonno geologico, un sonno di cose che stanno ferme e lasciano fare agli uomini, che così hanno l’impressione di contare qualcosa. In realtà la spiaggia, mentre noi facciamo casino con palloni, maschere, radio, mozziconi di sigarette e concessioni balneari, dorme. Si sveglia in autunno, quando i gabbiani non hanno più motivo di stare al largo. Si sveglia quando piove, quando il mare la spettina e la gira su un fianco e sull’altro come gli pare. Si alza ai primi temporali e si rifà la pelle, le ossa e i muscoli a colpi di onde, e di torrenti che la aprono in due tanto poi si richiude. Si lascia impastare con sabbie nuove strappate alle rocce più in alto o al fondo del mare, e con tronchi e alghe e posidonie e relitti. Sparisce e ricompare, a volte, sparisce e ricompare.
Poi quando è pronta, le furie si fermano e torna il tempo buono, tornano i turisti, tornate voi, insomma.
E tutti insieme si ricomincia.
Ecco, la Sardegna, anche quella delle montagne, è una grande spiaggia.
Non nel senso che è fatta per le vacanze, attenzione, ma nel senso che è vita vera anche quella che non vedete, soprattutto quella. Tra l’altro, in quanto vacanzieri noi (voi) non siamo padroni di nulla, e nell’ambiente in cui godiamo non siamo il centro, ma un accidente tollerato a mala pena.
Dicevo, la Sardegna è una spiaggia e per vederla viva potreste venirci d’inverno, quando il vento ci fa cambiare strada, quando i temporali scambiano ogni colore con altri a caso. Quando la neve sognata qualche mese prima ci fa pensare all’estate che tra qualche mese arriva, perché arriva.
La Sardegna è una spiaggia perché è difficile capirla, così adatta al relax e così bella; è una spiaggia perché senza il vento e i temporali non sarebbe com’è. È una spiaggia perché i turisti la vogliono ma non la capiscono. La guardano dormire e pensano sia normale.
La Sardegna è una spiaggia perché può esistere solo se il mare la tocca. A differenza di una spiaggia, però, conosce ogni vento.
Insomma, una spiaggia è una spiaggia, ma anche molto altro.
La Sardegna è uguale.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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