Ci sono alcune foto scattate nell’estate del 1961, nella spiaggia di Terracina, che oggi scatenerebbero sicuramente le feroci ironie dei social. In una di quelle foto un signore in giacca e cravatta porta per mano la figlia, passeggiando con tutta calma sulla sabbia di un lido quasi deserto; in un altro scatto il signore è accasciato su una sdraio, la figlia seduta ai suoi piedi, assorta in chissà quali giochi. Il signore ha una ciocca bianca di capelli in mezzo alla testa corvina e un abito che si confonde con il grigio della giornata e della stampa in bianco e nero. Quel signore è Aldo Moro, la bambina è sua figlia Agnese.
Tante volte mi sono chiesto se in quella improbabile postura prevalesse il ridicolo o un altissimo, quasi masochistico senso del decoro, del rispetto per il ruolo istituzionale di deputato che a Moro era affidato. Non ho mai saputo darmi una risposta. In fondo, chi tra noi si sognerebbe mai di andare in spiaggia in giacca e cravatta? È un abbigliamento fuori contesto che buca lo schermo e crea sofferenza persino in chi osserva quelle immagini.
Oggi in spiaggia vediamo ministri in canottiera con la bocca piena di ogni cibo passi a tiro dei loro denti. È, in fondo, una piccola rivoluzione, perché se c’era una cosa che non si poteva fare, fino a qualche tempo fa, era fotografare i politici col boccone non ancora deglutito: una volta fui cacciato da un locale, con tutto il fotografo, perché avevamo scattato delle immagini del ministro leghista Castelli a cena in un ristorante della Costa Smeralda (era il compleanno del ministro ed era stato lui ad invitarci).
Il ministro in canottiera e mutande che ingurgita il panino con la porchetta è certo molto più popolare, dà l’idea di un uomo politico che si comporti esattamente come uno del popolo e non voglia apparire diverso dalla gente comune.
Quel passeggiare in giacca e cravatta in riva al mare, mano nella mano con la figlioletta, indica un altro tempo e un’altra considerazione del ruolo. Il docente universitario e al tempo segretario della Democrazia Cristiana Aldo Moro sapeva che quelle foto sarebbero apparse sui giornali. E sapeva certamente che qualcuno le avrebbe giudicate demenziali. Forse Moro si sentiva ridicolo, vestito di tutto punto sulla spiaggia di Terracina, probabilmente soffriva il caldo e la morsa attorno al collo della cravatta troppo stretta. Ma Moro aveva un senso del ruolo e un rispetto per la carica che lo obbligavano a dare sempre, di sé, la migliore immagine possibile.
Perché un uomo pubblico, per Moro, pubblico lo era sempre e il suo appartenere alle Istituzioni non lo abbandonava mai, nemmeno nei momenti di vita privata. Quella sobrietà e quell’ordine erano una forma di rispetto verso il prossimo, un modo per onorare la sua figura di uomo dello Stato. Un modo per mostrarsi sempre nel modo migliore. Moro rischiava di apparire ridicolo per tenere alta quella tensione morale anche nella scelta dell’indumento. Moro pensava che un uomo pubblico dovesse sempre attenersi al decoro. Oggi, su Facebook, lo prenderebbero tutti malamente per il culo.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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