Il tema è di quelli seri. Si assiste spesso, in ogni campo, a discussioni al limite della querela e anche oltre, tra persone che per una vita hanno studiato e approfondito una materia, restando nell’ombra o venendo illuminati da una luce fioca e laterale, e persone che su quella stessa materia hanno investito energie e risorse ma in modo che può apparire per molti aspetti superficiale, eterodosso, anarchico, e anche poco serio; eppure si trovano al centro dell’attenzione pubblica, investiti di un ruolo che non dovrebbe competere loro. In quel “non dovrebbe” c’è tutto il succo del discorso. Alcuni esempi, giusto per capire meglio cosa intendo: 1. sulla storia antica della Sardegna abbiamo assistito a un dibattito diffuso e acceso che ha visto schierarsi da una parte studiosi, docenti universitari, ricercatori, studenti, contrapposti a cultori della materia non allineati con i metodi canonici della ricerca, con gli indirizzi e le ipotesi fondamentali della stessa ricerca, e fuori da quella che potremmo chiamare l’ufficialità. Anche nel termine “ufficialità” c’è un bel po’ di succo. Il picco della polemica si è avuto attorno al significato dei Giganti di Mont’e Prama. 2. Altro esempio: di recente ho letto di un Uto Ughi offeso e indignato per il successo di Giovanni Allevi. Uto Ughi è uno dei più grandi violinisti della nostra epoca ed è considerato un’autorità in campo musicale, a livello planetario. Giovanni Allevi è un pianista il cui talento non sono in grado di valutare, né tecnicamente né artisticamente, che a un certo punto è uscito dall’esercito degli specializzandi, dalla gavetta, e ha trovato una scorciatoia che lo ha portato davanti al grande pubblico, dandogli una visibilità maggiore di quella concessa a grandi maestri e alla miriade di colleghi probabilmente molto più bravi di lui. 3. Terzo esempio: la cura Di Bella. Qualche anno fa si fece molto rumore su una terapia alternativa alla chemio per sostenere i pazienti ammalati di tumore. Al di là della validità di questa cura, per cui sono ancora meno titolato a dare giudizi che nel caso di Allevi, si presentò lo stesso schema: da una parte il canone, l’accademia, l’ufficialità, dall’altra un outsider, un anarchico che con una proposta fuori dagli schemi portava su di sé l’attenzione del grande pubblico e metteva in difficoltà la medicina ufficiale e le stesse istituzioni. Segnalo solamente che, stando ad alcuni giornali, un esponente della parte “ufficiale” del contenzioso, Umberto Veronesi, oggi ammette che quella cura ha una sua validità. 4. Quarto esempio: il Movimento 5 Stelle. Senza dilungarmi, sottolineo che anche in questo caso vediamo all’opera lo stesso schema: da una parte la politica dei partiti tradizionali (da Renzi a D’Alema, da Bersani a Salvini) e dall’altra un gruppo di persone con scarsa esperienza politica, in grado però di comunicare e convincere una fetta enorme di società sulla bontà della loro proposta e sulle lacune della concorrenza. Qual è il succo? Fondamentalmente è uno e si spiega attraverso tre parole: la rigidità, contrapposta alla flessibilità; la capacità di comunicare, la cecità verso il metacontesto (cioè il contesto dei contesti, il contesto generale che abbraccia i contesti specifici in cui agiscono gli specialisti: medici, musicisti, archeologi, politici); questo metacontesto è la società. In tutti e quattro i casi lo schema è lo stesso: un insieme di individui altamente specializzati lavora all’interno del proprio contesto, aspettandosi che gli attori di quel contesto mantengano stabili nel tempo i loro comportamenti (il pubblico colto e il grande pubblico rispetto alla musica classica, gli elettori rispetto alle scelte politiche, le istituzioni e il pubblico potenziale rispetto al significato del patrimonio archeologico, gli utenti del servizio sanitario nazionale rispetto alla malattia e ai protocolli di cura). In un certo momento si presenta sulla scena un’anomalia che deforma i circuiti di interazione tra il gruppo degli specialisti e il suo contesto; abbastanza rapidamente questa anomalia raggiunge una fetta importante di opinione pubblica e quest’ultima inizia a manifestare giudizi estremamente negativi verso una delle parti (per cui succede che i direttori d’orchestra diventano tromboni, gli archeologi diventano nemici della Sardegna, i medici diventano schiavi delle lobbies e i politici diventano tutti mafiosi). Rigidità, difetti nella comunicazione e limitata percezione del contesto, dicevo, sono alcuni degli errori imputabili, in ogni caso, alla parte ufficiale che viene messa in discussione dall’anomalia che emerge. “Rigidità” perché si tende a non modificare strategie di azione che hanno dimostrato la loro validità (se Uto Ughi è Uto Ughi, se Veronesi è Veronesi, se D’Alema è D’Alema ecc, lo devono soprattutto alla loro fedeltà a una tradizione, a un metodo, a dei protocolli). “Limitata percezione del contesto” perché in tutti i casi agli specialisti inizialmente sfugge che è presente nel sistema una richiesta, un’esigenza, una domanda che non trova risposte nei protocolli. Quando se ne accorgono è tardi. La domanda può essere anche mal formulata, ma più che questo è importante che la domanda c’è, esiste e cerca una risposta. “Difetti nella comunicazione” perché, non prendendo nella dovuta considerazione la domanda, è molto difficile che la risposta sia adeguata a soddisfare proprio quella domanda o per lo meno a fare sì che venga riformulata. Specialmente se qualcuno ci arriva prima. C’è un altro attore: per semplificare lo chiamerò “la stampa”. Chi si occupa di comunicazione, intuendo il potenziale mediatico di un fenomeno, contribuisce a farlo crescere; la stampa fa poi un lavoro di “comunicazione sulla comunicazione”, evidenziando le lacune di accademici, politici, professionisti. Spesso però la stampa fa anche un lavoro “sporco”, che consiste nell’alimentare una notizia o una campagna badando solo all’effetto mediatico, senza interrogarsi sugli effetti a lungo termine (per esempio chiedendosi se non sia pericoloso illudere chi è colpito da un tumore, o se faccia bene alla Sardegna essere scambiata per Atlantide ecc). E dunque? E dunque non c’è una cosa che possa chiamarsi “una conclusione”. E il problema sta proprio qui. Siamo inseriti, tutti, in un complesso circuito fatto di circuiti, (cioè percorsi circolari), all’interno dei quali si svolge ogni fenomeno di comunicazione, di azione finalizzata a uno scopo, di reazione ai fenomeni, di ricerca di soluzione ai problemi ecc. Pensare che esista “una conclusione” significa perpetuare quella rigidità che ha portato a un certo punto il sistema a mettere in discussione una autorità per cercare risposta a una domanda che sembrava non averne. Significa cioè che le proposte alternative, per lo più, o muoiono o vengono inglobate nel sistema. Significa in altre parole che i parlamentari di Grillo diventeranno Kasta o verranno dimenticati. Sono convinto che Allevi non ha nessuna possibilità di diventare bravo come Uto Ughi o famoso come Beethoven, sebbene la sua proposta a volte sembra porsi in questi termini. E d’altra parte Uto Ughi dovrà rassegnarsi a vedere Allevi a Sanremo mentre Karlos Kleiber, finchè è vissuto, non ci ha mai messo piede. Inoltre, la Sardegna sicuramente non è Atlantide per il semplice fatto che Atlantide è un mito, e il massimo che potremmo scoprire è che quello che gli antichi pensavano di Atlantide fosse la proiezione di notizie frammentarie e distorte su una delle tante civiltà mediterranee già note. E d’altra parte è probabile che, stando così le cose, dopo Atlantide spunti magari per gli Shardana un’origine extraterrestre. In ogni caso succederà che i Giganti continueranno ad apparire con la chitarra in mano, così come la Gioconda è stata vista fumarsi un cannone. Ancora, Di Bella o no, molta gente di fronte alla morte continuerà a cercare (perché di quello si tratta) risposte alternative nelle pietre, nei fiori, nelle stelle e nell’aldilà. Quanto al Movimento di Grillo e Casaleggio, potrebbe durare ancora cinque o dieci anni (non credo molti di più) ma poi emergerà sicuramente qualcosa di nuovo, in grado di interessare quel tipo di elettorato. Spero non sia Alba Dorata. Sarebbe bello, in mezzo a tutta questa enorme confusione che a mala pena riusciamo a descrivere, se ognuno di noi imparasse a ragionare in modo critico, diffidando di ogni guru improvvisato ma anche di chi sostiene che non c’è più molto da scoprire, e che in ogni caso novità e scoperte devono essere convalidate da qualche Università, o Chiesa, o Partito. Sarebbe bello se prima di parlare di cellule tumorali che regrediscono, ognuno si facesse un’idea, anche vaga, di come è fatta una cellula. Sarebbe bello se prima di parlare di Kasta, ogni cittadino avesse una pallida consapevolezza di cosa siano un bilancio di previsione o il patto di stabilità. Sarebbe bello se ognuno di noi in mezzo a questa selva, pur essendo in grado di leggere il GPS, mantenesse la capacità e anche il desiderio ogni tanto di sollevare la testa, buttare uno sguardo al cielo e capire, che sia giorno oppure notte, dove cazzo è il Sud.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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