Una coppia inglese, marito e moglie, produce un podcast che rende pubblica la loro vita sessuale. Ci sono gli accoppiamenti, pare, con tanto di petting introduttivo (nel senso che si fa prima dell’atto e prepara al clou, non fate i cretini adesso) e relax successivo. La cosa interessante è l’approccio psico-sociologico con il quale la notizia viene fornita da organi di informazione solitamente seri. Mi sbaglierò ma mi sembra roba vecchia. Negli anni Settanta-Ottanta con un mio amico e collega frequentavamo un’edicola che aveva una parete esterna interamente tappezzata di stampa porno. Non so se ora ne esista ancora, c’è il web, ma allora era diffusa. Una rivista bene esposta si chiamava “Autoscatto”. E anche nei giornali che avevano titoli diversi comparivano rubriche che si chiamavano nello stesso modo oppure “polaroid”, come la nota macchina fotografica, l’unica che nell’antichità permettesse di autoprodurre fotografie domestiche senza possedere camere oscure casalinghe oppure fare sapere i fatti tuoi a un laboratorio pubblico di sviluppo e stampa.Con il mio amico avevamo instaurato un ottimo rapporto con l’edicolante. Lui fingeva di incazzarsi perché in dieci anni non acquistammo una sola copia di quei giornali, ma lo convincevamo a sfogliarli insieme a noi, spesso disigillando quelli cellofanati e rendendoli quindi invendibili. Le riviste dedicate all’autoscatto e le rubriche su altri giornali rivolte al pubblico interessato allo stesso argomento, ci piacevano particolarmente. Studiavamo la mobilia domestica rivelata dai contorni delle foto, vecchi e alti armadi se le scene erano girate in camera da letto, credenze con specchiere se il set era nel tinello, postproduzione non sempre accurata, tanto che alle volte certi riflessi rivelavano un operatore, persona terza la cui ombra induceva a pensare che lo scatto non fosse tanto auto. Comunque ambienti piccolissimo borghesi che denunciavano coppie che cercavano trasgressioni a poco prezzo che rinfocolassero un pochino il menage.Ma ciò che più ci affascinava erano le mascherine indossate dai coniugi. Di solito erano le striscioline alla Fantomas che coprivano a malapena il contorno degli occhi e già era simpatico vedere maturi signore e signori che si ingroppavano di santa ragione indossando quella roba. A farci impazzire erano però quelli che proprio temevano di essere riconosciuti e indossavano più sostanziose maschere che coprivano l’intero viso. Una volta con il mio amico stavamo per derogare all’imperativo morale di fottere l’edicolante non acquistando mai una di quelle riviste quando ci imbattemmo in un Paperino con un cazzo fuori dalla grazia del cielo che si apprestava a coprire una Heidi totalmente offerta come in un ambulatorio ginecologico.E facevamo, con l’edicolante, lunghissime discussioni che prendevano tutta la pausa caffè durante la quale saltavamo il caffè, ché poi non c’era più tempo. Fu epica una che non riguardava l’autoscatto ma un’altra specializzazione. C’era una rivista che si chiamava “Oral” che consultavamo poco perché la sezione “Autoscatto” era noiosa: sempre la stessa posizione a distanza ravvicinata. Ma un giorno il mio amico fu abbacinato da una copertina. Sotto la testata “Oral” appariva uno strillo in caratteri gialli: “Speciale pompa”. Disse all’edicolante:– Lei vendendo questa roba si sta prestando a un imbroglio nei confronti di lettori onesti.-Ma come si permette?-Mi permetto questo e altro. Mi spieghi allora come possa esistere un inserto specialistico in una testata che è già di per sé dedicata alla stessa specialità.L’uomo, in silenzio, rimosse il cellophane e constatammo che il mio amico aveva ragione: tra lo “speciale” e il resto della rivista non vi era alcuna differenza vuoi di argomento vuoi di stile.Quando l’edicola cambiò gestione il mio amico e io ne restammo dolorosamente orfani.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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