Prendo una birra al bar sotto casa e mentre poggio il bicchiere mi arriva improvviso il gusto amaro del declino di Sassari. Sul sottobicchiere di cartoncino c’è scritto “Vola da Olbia. Le migliori capitali d’Europa a prezzi imbattibili”. E a titolo di esempio mostra un mulino a vento con l’informazione: “Olbia-Amsterdam da 29 euro. EasyJet”. Telefono ad Andria Boeddu, un ragazzo in gamba di Nuoro che mercoledì diventerà dottore a Sassari con una tesi di Sociologia urbana sull’Aeroporto di Olbia. “Era un aeroporto la cui criticità era la forte stagionalità – mi spiega -: lo specchio di un territorio che aspetta l’estate per vivere. Poi tante iniziative, dal polo universitario alle gallerie d’arte, hanno fatto dell’aeroporto una città nella città, aperta 24 ore su 24 e con circa tremila occupati tra diretto e indotto”. E quindi ora investe anche sul tracollo dell’aeroporto di Alghero andando a fare efficacissima pubblicità proprio a casa dei concorrenti. A parte i sottobicchieri distribuiti a migliaia in tutti i bar del Sassarese, anche una sorta di partecipati flash mob ad Auchan e nelle vie centrali con ragazze in divisa da hostess che tra selfie e sorrisi illustrano le bellezze del “Costa Smeralda”: collegamenti diretti con 56 destinazioni e 17 paesi effettuati da 47 compagnie in attività dal 31 marzo al 30 settembre. Quindi le nuove rotte del 2016 sono 14 e la tendenza è quella di crescere. In pratica si sta vincendo la scommessa di superare il limite della stagionalità e per farlo sarà necessario entrare a gamba tesa nel bacino di utenza dello scalo di Alghero. Circa trecentomila persone tra le quali pescare per aggiungerle alle altre trecentomila che sono l’habitat dell’aeroporto gallurese. E non mi sogno di pensare, mentre prendo un altro sorso di birra e guardo il sottobicchiere, “accidenti a questi galluresi”. Perché sono convinto che questo stupido campanile intriso di odio, invidia e disprezzo verso gli altri sia un sin troppo facile simbolo fallico che, sempre in termini di metafore, ci sta facendo un brutto scherzo. Olbia ha una classe dirigente forte. Sarà un far west, non avrà tutte le nostre sussiegose rimembranze di grandezze passate, non vanterà presidenti della Repubblica e segretari di grandi partiti, ma sta conquistando il futuro. Dietro il decollo di quel grande e bellissimo aeroporto non c’è soltanto una forte compagnia aerea e alcune lontane e intoccabili correnti di affari mondiali; c’è soprattutto la pressione di gruppi di comando locali politicamente trasversali che giocano a beneficio del territorio. Si potrà discutere se alla fine questo gioco degli sviluppi autonomi dei vari territori sardi, se fenomeni come quello di Olbia o della metropoli cagliartiana con relative rimesse pubbliche, giocheranno a favore di tutta la Sardegna. Penso di no, penso che gli squilibri non paghino, che ci saranno fenomeni di desertificazione economica e umana, ma che alla fine si ritroveranno delle forme di equilibrio generale dalle quali i più deboli resteranno esclusi. E parlo di Sassari, che deve accettare di vedersi invasa da un altro aeroporto mentre il proprio vive una crisi alla quale la nostra classe dirigente non ha il coraggio di opporsi se non a parole. Hanno fatto coincidere l’abbandono di Ryanair con una piccola questione che riguardava soprattutto lo scalo di Fertilia, anziché guidare una battaglia simbolica che riguardava il generale problema della continuità territoriale e quindi di tutta la Sardegna. Ma mentre l’aeroporto di del Nord Est diventava quella “città nella città” di cui si parla nelle tesi di laurea (c’è persino uno studio dentistico, a Fiumicino o a Linate non mi è mai capitato di vederne, ma forse sarò distratto), quello del Nord Ovest si associava al declino dell’industria e di ogni altra attività. Dopo la fine del sogno della Sir, Sassari non è stata capace di darsi alternative. Quello è stato l’unico progetto di sviluppo più o meno reale del dopoguerra, poi soltanto maldestra speculazione edilizia, lento deteriorarsi del terziario e progressiva espropriazione di istituzioni tradizionalmente salvavita quali il credito e l’università. Entrambe in discesa, c’è da dire, non per chissà quali attacchi esterni ma per l’insipienza della politica, dell’imprenditoria e della cultura locali. Lamenti, rivendicazioni confuse e oggettiva rassegnazione uniti a scaltre sortite di alcuni gruppi per garantirsi spazio tra i vincenti di altre zone della Sardegna. Ecco Sassari. Il rimpianto di un passato forse peggiore del presente e un’altra della caratteristiche: l’invenzione di un’arcadia allocata negli orti della vallata del Rosello, il rimpianto di tempi in cui la miseria e le malattie venivano coperte da un’allegra nuvola di cionfra, quella falsa ironia che vogliono farci credere fosse una sorta di corporazione dello spirito che accomunava i ricchi ai poveri. I quali ricchi, invece, si hanno sempre fatto i fatti loro e hanno conservato la ricchezza senza creare capitale vero e lavoro, come i ricchi di altre zone. Ed ecco quindi le speculazioni basate solo sul mattone, o certe importanti scelte urbanistiche che da non so più quanti anni sono più determinate dalle aree di chissà quale famiglia da valorizzare che da progetti di sviluppo reale e di espansione mirata. Che cosa ha impedito a Sassari, a esempio, di unirsi alla grande potenzialità del porto di Porto Torres? Che cosa possiamo sperare da una classe dirigente politica e imprenditoriale che bada solo al vantaggio e alla ricchezza personali e che non riesce neppure a farli coincidere almeno per qualche aspetto con quelli collettivi? Nulla, neppure la conservazione del mito della “superiorità culturale” di Sassari, del tutto infranto dalla crisi economica e dalla povertà di valori etici e dall’assenza di etica imprenditoriale. E quindi mi bevo l’ultimo sorso di birra e questa primavera, se avrò soldi e voglia per un viaggetto, chiederò all’aeroporto di Olbia.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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