La notte raccoglie sempre tutti gli elementi del terrore. Dal buio ci si difende richiudendoci a lungo dentro noi stessi, muovendoci in uno strettissimo cerchio “razziale”, all’ombra del nostro focolare, delle nostre storie – uniche e giuste – delle nostre città, apparentemente pulite e senza “cattivi”. Sappiamo che non è vero, ma ci serve per continuare, per vivere con una luce artificiale che tranquillamente chiamiamo “sole” e sappiamo che è un’illuminazione fittizia e nasconde le ombre. Ed ecco che dalle nostre televisioni urlano i nostri simili contro altri simili e ci dicono che dobbiamo perseguitare i “cattivi” in nome di una cultura che, a dire il vero, resta abbastanza incomprensibile. E noi, di contrappunto, ci indigniamo davanti a dei video propaganda girati nell’orto degli altri che incitano alla violenza e alla guerra santa contro i loro nemici: che siamo noi. Se non fosse una cosa dannatamente seria sembra di assistere a quell’infinita diatriba calcistica che, davanti allo stesso errore arbitrale le due tifoserie o urlano di gioia o imprecano e chiedono giustizia. La verità è che da anni, ormai in quasi tutte le parti del mondo, si tralascia la cultura dell’educazione. C’è una frase, molto bella e appartiene ad Amedeo Modigliani, al grande Modì: “La vita è uno dono dei pochi ai molti: di coloro che sanno e hanno a coloro che non sanno e non hanno”. Noi, nel corso di questi anni non siamo riusciti ad educare alla vita. Il noi riguarda chiaramente tutti: occidente ed oriente. Abbiamo, piuttosto, educato all’indifferenza, all’orrore, alla guerra, al disprezzo. Lo abbiamo fatto nel corso dei secoli e ci siamo raffinati in questi ultimi anni dove al disprezzo abbiamo aggiunto la divisione per razze, per popoli. e per materie prime.Chiudendoci nel nostro cerchio eravamo convinti di esserci sbarazzati dei cattivi, dei violentatori, dei grassatori, sequestratori, assassini e terroristi. Queste persone non devono entrare “a casa nostra”. La realtà, chiaramente è diversa: nelle carceri italiane, per esempio, solo il 36% dei detenuti è straniero e tra questi solo il 5% ha commesso delitti gravi contro la persona. In Italia, dunque, stando ai tribunali e alle sentenze definitive, i cattivi stanno da un’altra parte. Dentro il proprio recinto. L’attentato di Parigi ci porta ad altre considerazioni: si sente terribilmente la mancanza di un’alta civiltà che sia quella dell’accoglienza e della raccolta di tutte le culture, nessuna esclusa. L’attentato di Parigi ci costringe a riflettere sulla paura che fanno le penne libere e irriverenti, quelle che ricercano a tutti i costi una verità scevra da filtri religiosi, politici ed economici. Non si fanno solo le guerre in nome di Dio e di Allah e questo lo abbiamo capito. Il problema è spiegarlo a chi, come Salvini e Gasparri pensano che il terrore sia all’interno di quelle barche che sbarcano a Lampedusa gonfie di carne triste e disperata, rifiutata anche dai loro paesi d’origine. Il terrore, invece, è nelle scelte effettuate negli anni, nel diseducare il mondo e convincere tutti che i più forti sono anche i più buoni. Purtroppo – o per fortuna – non è così. Il silenzio morale che lascia il posto alla propaganda non fa crescere nessuno. E soprattutto non fa capire. Il cielo di Charlie oggi non lacrima più ed è cosparso da un muto silenzio. Alziamo gli occhi e proviamo a riflettere.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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