L’ho guardato, con lo stomaco attorcigliato per il dispiacere, quel video che riprendeva un professore umiliato e deriso dai suoi alunni. Gli posavano il cestino della spazzatura in testa, lo prendevano in giro con coretti idioti e risate, mettevano in atto tutti quei gesti di prevaricazione e sopruso che caratterizzano il bullismo. E’ successo in una scuola di Conegliano (TV) dove un’intera classe non solo ha dimostrato di non avere alcun rispetto del proprio docente, ma ha dato prova di un’escalation di azioni vessatorie e vergognose che hanno costretto il professore alla resa. Ha provato ad opporsi, inutilmente, e alla fine ha raccolto le proprie carte ed ha lasciato l’aula con un senso di sconfitta pesante come un macigno sull’anima. Verrebbe definito “un docente che non sa tenere la classe” e in quest’affermazione cretina, sbrigativa e superficiale c’è il fallimento nella sua forma più allargata. Il fallimento della scuola, dell’educazione, del rispetto, del riconoscimento del ruolo e di mille altre facce di un poliedro sgangherato che riesce a rimandare in chi lo guarda un’immagine pessima. Dovremmo essere professori e non domatori di leoni.
Che insegnare non fosse affatto facile probabilmente lo sapevamo tutti, anche coloro che non si sono mai cimentati in questa professione.
Alcune volte la bravura, il carisma e la preparazione di un docente non sono sufficienti. Alcune volte, diciamocelo chiaramente, è solo questione di fortuna.
Provate a immaginare di entrare in una classe dove gli eventuali provvedimenti disciplinari non intimoriscono i ragazzi. Ma, al contrario, il numero elevato di note su registro costituisce un motivo d’orgoglio. Ognuna di quelle sanzioni scritte rappresenta una medaglia appuntata al petto. Un valoroso testa a testa col docente di turno. In quel caso siete disarmati, lo sapete? Entrate, arrivate alla cattedra, poggiate i libri e prendete il registro di classe per l’appello. Quelli parlano a voce alta.
– Silenzio, per favore. –
Nulla, nemmeno si voltano e continuano a chiacchierare col medesimo tono che avevano prima del vostro ingresso.
Cominciate col primo cognome – magari smetteranno – pensate. Invece no.
E qualcuno si alza, anche. Vi interrompe. – Posso andare in bagno? –
– No, ora sto facendo l’appello… andrai dopo –
– Eddai prof, me la sto facendo addosso – si porta una mano sulla braghetta, per sottolineare l’urgenza della minzione. Si volta verso i compagni con aria soddisfatta, quasi a dire
– Vedete come lo prendo per il culo quest’ imbecille? –
– Vai – gli dici alla fine, sperando che levartelo di torno riuscirà a stemperare l’adrenalina che quel bulletto lì sta facendo montare negli altri.
E con quella concessione ti sei scavato la fossa perché, come in una partita di tennis, ti ha strappato il servizio. Da lì in poi gli alunni inanelleranno uno schema, solitamente consolidato, di sfide via via più coraggiose. Ti prenderanno le misure per capire fin dove si possono spingere. I più stronzetti riusciranno ad avvicinarsi pericolosamente alla linea di confine che segna la demarcazione del potere all’interno della classe.
E’ una partita sfiancante, quotidiana, giocata su equilibri infelicemente precari all’interno dei quali con una frase detta male, una concessione non opportuna, un errore maldestro ti giochi la credibilità e la serenità delle mattinate future.
E ditemi che non è questione di culo!
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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