“La gente ci sta aspettando fuori dal partito”. Il partito è il Pd e la “gente” è quella che sta aspettando chi la guidi contro la deriva fascista dell’Italia. Me lo ha detto ieri in un momento di scoramento – un momento lungo non so quanti momenti – una persona di Sassari verso la quale provo affetto e stima. E siccome questa persona è onesta, ha capacità di analisi politica, possiede una notevole carica ideale e ha attraversato ogni traversia del suo Pd senza mai smettere di cercare unità a sinistra, per me questa sua lacrima privata vale più di mille articoli di fondo. Me lo ha detto in piazza Santa Caterina durante la manifestazione organizzata da Renato Soru. C’erano 250 persone, che non sono poche in rapporto alla sempre più ridotta capacità di mobilitare del Pd sassarese. E su queste 250 persone pesava però la cappa dell’ennesimo episodio del massacro interno. In coincidenza con la manifestazione di Soru erano state convocate in città la direzione e l’assemblea del partito. L’assemblea è stata rinviata, ma la direzione è rimasta con la motivazione ufficiale che ormai erano già stati convocati iscritti che hanno gravosi incarichi istituzionali e che non possono quindi essere disturbati inutilmente. Uno era il presidente del consiglio regionale Gianfranco Ganau, che ieri era presente alla manifestazione di Soru; un altro il sindaco Nicola Sanna, anche lui in piazza Santa Caterina; sembra che il terzo fosse Luigi Lotto, che ieri era a Roma. Insomma, l’impressione era che quella direzione provinciale fosse una sorta di atto di ostentato disinteresse di un pezzo di Pd per la manifestazione indetta da un altro pezzo di Pd. E’ uno dei mille e mille colpi di zanna che insanguinano il branco al suo interno. Sgarbi, dispetti, sgambetti e odio diffuso, un clima che ha avuto momenti ben più gravi nella guerra che il Pd ha mosso al sindaco del Pd Nicola Sanna, indebolendo l’iscritto “ribelle” alle gerarchie e insieme a lui l’intero partito. Ma questa potrebbe essere l’estrema scaramuccia, quella non più sopportabile per la quale il branco di disperde. Il precedente illustre è quello di Anna Sanna, prima sindaca a elezione diretta, uno dei più splendidi esempi di efficacia e rigore nella storia delle amministrazioni sarde nel dopoguerra, una carriera di quadro politico e stimata dirigente nazionale, ma costretta infine a ricandidarsi in una lista civica perché esclusa dai giochi di potere del partito. Il partito si chiamava diversamente, ma gli uomini più o meno erano gli stessi, con alcuni e importanti nuovi ingressi. E anche allora, come adesso, era chiaro che non ricandidare il primo cittadino significava apporre il timbro del fallimento non soltanto su quel mandato ma sull’intero partito che aveva espresso il sindaco. E’ solo una storia di odio tra persone e di scontro di interessi questa agonia della sinistra sassarese? Forse è più complessa, anche perché ormai non so più quanto ci sia della sinistra sassarese in questo Pd. Ma se non nel Pd, dove è questa “gente”, questi compagni che “stanno aspettando fuori dal partito”? C’è un dove sospeso, dove vagano le anime della sinistra che non ha votato o che ha votato 5 Stelle, o che si raccoglie intorno a certe formazioni dove i sentimenti di rancore verso Renzi sono più forti del timore verso ciò che Salvini e i suoi utili alleati stanno facendo del Paese? Ecco, questo è l’elemento che spaventa la sinistra non militante, categoria della quale faccio parte. Se dico che in Italia c’è un problema che si chiama fascismo, mi dicono di non mettermi in mezzo ai discorsi dei grandi. Il diritto di parola è dei renziani che devono rinfacciarti che hai votato No al referendum, dei dalemiani che devono gioire perché Renzi è rottamato, dei dirigenti del Pd sassarese che devono ignorare Soru e attaccare il sindaco del loro partito e così via. Che motivo ha di continuare a esistere un partito che dice di essere di sinistra e, con ciò che accade, non si mobilita in una unità antifascista? Un partito dove l’ambiguità ideologica alla ricerca di consensi dal centro e persino dalla destra continua pervicace anche in momenti in cui è chiaro che l’opinione di centro e di destra si è indirizzata verso partiti che rappresentano questi settori con più chiarezza e meno ambiguità di quel Pd che voleva essere ecumenico. Un esempio sardo è questa volontà di riformare il Piano paesaggistico regionale con modifiche che una sinistra ambientalista fatta non soltanto di militanti di vari movimenti ma anche di una larga fascia di esperti dell’urbanistica giudica pericolosamente permissiva. Una riforma che sta cercando consensi anche nella destra, ignorando che l’imminente scadenza regionale confermerà senz’altro la tendenza nazionale: se ho bisogno di una destra non la cerco nelle derive centriste del Pd, ma in un partito che mi dice chiaramente quello che è. Il presidente Francesco Pigliaru dovrebbe pensarci. Iscrivendosi al Pd nel momento di maggiore crisi del partito ha dimostrato di essere disinteressato e coraggioso. Ma ora, con questa iscrizione, è di fatto divenuto il leader del partito, non è più soltanto un uomo “di area”, è tra gli iscritti quello che ha più peso, che possiede la carica e le responsabilità maggiori. E non converrebbe al suo partito sospendere questa riforma urbanistica? Non sarebbe meglio capire prima che cosa accadrà del Pd, che cosa accadrà della sinistra? O la riforma del piano paesaggistico per legge (e con qualche sospetto di incostituzionalità) è così urgente? Io penso che per rilanciare turismo e impresa occorrano idee e investimenti, non nuove volumetrie in aree sensibili. Cemento, cioè. Specialmente quel tipo di cemento che, come certa finanza, fa guadagnare pochi e danneggia molti. Un tempo però queste cose a dirmele erano i partiti di sinistra, non ero io a dirle a loro.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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