A proposito di sbarchi e di navi cariche fino all’eccesso di varia umanità disperata e speranzosa. Nel film The Martian, il Sopravvissuto, del grande regista Ridley Scott, si racconta, con grande precisione di dettagli e plausibilità scientifica, di un componente di una missione spaziale su Marte che, a causa di un drammatico imprevisto, si ritrova solo sul pianeta inospitale. Il novello Robinson Crusoè metterà in atto tutte le strategie di sopravvivenza fino all’arrivo dei soccorsi, sopravvivendo per mesi in quell’ambiente ostile grazie alla conoscenza e all’inventiva. Nel finale del film si immagina che tutta la terra prenda a trepidare per il sopravvissuto e per i soccorsi che si prevedono rischiosi e particolarmente difficili. Persino la Cina con la sua tecnologia accorre in soccorso degli americani della NASA per portare a termine l’operazione. Tutto il mondo unito assiste con il fiato sospeso alla missione di salvataggio. Ho pensato come questa immaginazione (che ricorda tanto, su scala nazionale, quella triste e drammatica diretta televisiva a Vermicino) in realtà sia realistica, perché salvare un essere umano disperso fuori dal pianeta Terra equivale, in un certo senso, a salvare l’intera specie umana. Mi sono immaginato, dopo i festeggiamenti mondiali per quel salvataggio in quel futuro non tanto lontano, la vita riprendere come sempre, con la Siria bombardata, l’Africa sfruttata e affamata, i palestinesi segregati, e la nave carica di essere umani lasciata vagare nel mare, senza nessuno che volesse salvare quelle centinaia di vite. Il film ovviamente ha avuto successo in tutto il mondo perché, bravura del regista e del cast a parte, tocca delle corde speciali, quel senso di umanità che ci vorrebbe uniti di fronte al dispiegarsi delle grandi imprese. Quelle grandi imprese che una volta parevano unire tutta la specie umana, e oggi paiono esclusivamente confinate nel mondo della fantasia. “Restiamo umani”, si raccomanda di fronte a questa scioccante ondata di aridità, violenza, razzismo e odio profondo, che è esplosa in Italia ma che, in definitiva, è comune a tutta l’Europa nelle sue diverse forme. Quel “restiamo umani” ormai ci lascia basiti. Molti di noi, di fronte allo sterminio nazista, non seppero dire altro che “mai più”. Di fronte ai genocidi in atto nel pianeta, una piccola parte dell’umanità si affanna, l’altra è indifferente, altra ancora gode, si compiace, pare inebriarsi del sangue di creature innocenti. Da antropologo dovrei darne una spiegazione scientifica di tutto questo orrore. Vorrei provare a capire quanto, di questo orrore, sia frutto di una lotta per le risorse che si acuisce nei momenti di crisi, e di cervelli umani mandati al macero da quella sostanza stupefacente costituita dal dio denaro, metro di valutazione di ogni cosa, anche dei sentimenti, in un mondo sempre più pervaso dalle regole del mercato. Mi verrebbe da pensare, da uno che prova a dare spiegazioni scientifiche a tutto questo, che poi, in fin dei conti, gli esseri umani si sono tranquillamente massacrati nel corso della loro storia, a colpi di stragi, guerre e genocidi, e che, in fin dei conti, questo è l’animo umano e il destino dell’umanità. E ancora, facendo il conto delle cose, i barconi di gente africana altro non sono che il frutto di politiche che poco hanno a che fare con i progetti di sviluppo e molto con l’avidità del mondo ricco, dato che in quei posti non comandano loro, ma chi ha in mano le risorse e il potere economico. Cioè noi. Comandiamo noi, e per noi si intende le nostre multinazionali, e per nostre si intende europee, o americane, oppure occidentali. Allora, se comandiamo noi, in Africa, la peggior ipocrisia è la tiritera del “aiutiamoli a casa loro”. Smettiamo di sfruttarli, verrebbe da dire, e il problema sarebbe risolto. Un secolo e mezzo di colonialismo e post-colonialismo ha trasformato rigogliose foreste in campi di cacao, caffè e altri generi di conforto del mondo occidentale, rendendo paesi dai confini artificiali succubi del mercato mondiale che decide il prezzo di quelle monocolture. Per non parlare dei minerali, del petrolio, che non alimenta le loro fabbriche, le loro automobili, le loro abitazioni. Ma le nostre, e a prezzi per loro irrisori. Ma smettere di sfruttarli, significa inevitabilmente abbassare il nostro livello economico, il nostro tenore di vita. Alla fine, chi vomita orrendamente il suo odio, in queste ore, come chi cerca ipocritamente di giustificarlo con discorsi un po’ più raffinati, altro non sono che dentro una guerra per le risorse dove, sempre alla fine dei conti, un nostro euro non lo cederemo per salvare la vita di un uomo, di una donna, di un bambino. Ecco perché questo odio altro non è che il terrore di guardare nello specchio quei poveri alla quale vogliamo negare la nostra paternità, la nostra ragione di sfruttatori. Siete poveri perché siete così come siete, nati per essere poveri e non meritate nulla che non sia la vostra povertà. Perché, altrimenti, mi tocca cacciare fuori un euro, o forse due. O peggio, rinunciare ad un tenore di vita dove un euro, o forse due, possono ristabilire un po’ di equilibrio in questo pianeta lacerato dall’insicurezza. Il sopravvissuto, nel film, durante il rocambolesco salvataggio rischia di vagare nelle stelle per l’eternità, con una fiammella vitale destinata a spegnersi in poco tempo, ridotto presto in cadavere prigioniero della tuta spaziale. Qui, nella realtà, salvare un po’ di umanità dalle spire del mare diventa un enorme problema, un problema insormontabile. Un problema che diventa tale perché ammetterlo è costoso non per la tasca, ma per la coscienza. Noi questo siamo. Noi questo valiamo. Non il mondo intero che si unisce per salvarci come uomini, o come donne, che salvare uno equivale a salvare l’umanità intera. Quello un film era, e un film resta. Noi questo siamo, e questo valiamo. Un euro, forse due.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design