Colgo un paradosso nel dibattito che ha portato alla approvazione della legge sulle unioni civili, stralciando la stepchild adoption e rinviandola ad una legge di riordino sulle adozioni.
La cronaca evidenzia un paradosso: una coppia omosessuale non può adottare, seppure soddisfi il desiderio di paternità e maternità con la gestazione surrogata. Mi trovo stranito rispetto ad una domanda di diritti nuova, che pone la paternità (e relative norme) al di là del dato biologico del concepimento e dentro una trattativa precedente il parto.
In molte nazioni la maternità surrogata è legge. Ogni diritto ha una sua storia, spesso dopo battaglie afferma stati e condizioni che oggi sarebbero impensabili da ricordare. La parità dei diritti tra uomo e donna, ad esempio con il diritto di famiglia; l’aborto ed il divorzio. Penso al diritto di voto delle donne ed al suffragio, universale dopo e prima per censo.
Penso alla discriminazione razziale (seppure resti nel retropensiero e nelle sentine politiche di tanti). Penso alla differenza di genere di cui si discute oggi, io che ho avuto modo di conoscere le classi divise tra maschietti e femminucce. I diritti evolvono non solo come risposta ai doveri di uguaglianza – illuministici – quanto per riconoscere il diritto alle differenze in una condizione di rispetto e tutela della propria unicità. Persone, a prescindere.E sulla scorta delle falle della legge sulla procreazione assistita (innumerevoli sentenze ne dimostrano le debolezze di impianto) altrettante ne avrei colte sullo stralcio della stepchild adoption.
Tobia Vendola con doppio o triplo passaporto vale un pernacchio a questa classe politica e gli auguro vita felice: che, quantomeno, cresca in un mondo meno pilatesco. Pensavo che una coppia di donne gay potesse dimostrare a noi benpensanti quanto i timori e i divieti irrazionali, le chiusure insomma, siano aggirabili. Una donna un figlio lo può avere sempre e comunque; e sta alla società tutelarne la volontà procreativa (ma anche no! quante adolescenti- mamme a loro insaputa?) garantendo la cornice giuridica degli affetti e delle relazioni parentali. Che altrettanta voglia di paternità potesse essere espressa da due uomini gay era oltre la mia immaginazione. Salvo l’adozione. Pensavo. Un figlio, insomma, è nella volontà di poterlo fare o di volerlo. Sgarbi parrebbe padre a sua insaputa, un po’ come Scajola per le case. Un figlio è nella legittimità di accesso alle legislazioni di Stati che disciplinano la gravidanza surrogata. Non ne discuto la legittimità, né i limiti morali di questa pratica, coesistente a bambini/e adottabili. Parrebbe che la nostra legislazione al riguardo sia datata e burocratica. Psicologi, assistenti sociali, tribunali: un iter complesso e defatigante presiede all’adozione.
Frutto di attenzioni e tutele storiche, laddove in una società contadina, crescere un bambino garantiva braccia a buon prezzo e con meno tutele in sede ereditarie. Bastardo, illegittimo, naturale declinano una cultura che si evolve. Figli nati come frutto del peccato di Ree Silvie e messi alla ruota dei conventi, alla carità e al benvolere dell’effetto cucciolo. Non so se e quando la maternità surrogata sarà legge in Italia e nell’ipotesi mi auguro che disciplini affido ed adozione nell’interesse dei bambini e delle bambine. Che dia risposta al diritto di recesso esercitato dalla copia eterosessuale rispetto al bimbo malato (successo…) dacché in un contesto globale nulla è impedito a benestanti con disponibilità economiche e di passaporto. Resta un punto: prendo atto che il desiderio di paternità (la possibilità di soddisfarlo nelle forme surrogate – fatto salvo il baliatico consentito dalla legge) è così forte da superare il distacco del bimbo/a dal seno della madre biologica per attaccarlo alla plastica di una tettarella. Ecco, per quanta empatia cerchi di liberare non mi riesce di capire la ricchezza psicologica che ogni giorno colgo nei nostri comportamenti: tanto di una donna che programmi e viva la gestazione consapevole di rinunciare al ruolo di madre, quanto di un uomo convinto di poter credersi nel giusto rispetto ad una vita cui – crescendola – dovrà dare risposta. Questo sapendo di quanto ogni adottato voglia sapere di chi biologicamente è figlio.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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