È grazie a un bel libro del giornalista napoletano, Luigi Necco (reso celebre da “90° minuto”) se oggi, 10 luglio, la nostra agenda ha modo di ricordare Siro Riccioni nell’anniversario della sua morte. Stranamente, infatti, l’incredibile storia di questo ragazzo abruzzese spedito in Grecia dal regime fascista in vena di grandeur era finita nel dimenticatoio.
“Spezzeremo le reni alla Grecia”, annunciò nel novembre del 1940 il Duce ai microfoni della radio di Stato. All’inizio dell’estate successiva, il Regio esercito sbarcò a Creta unendosi alle truppe d’occupazione naziste che avevano costretto alla fuga gli inglesi. Fu così che il ventenne Siro Riccioni, laureato in filosofia, si ritrovò con i gradi di sottotenente a combattere nell’isola che fu il fulcro della civiltà minoica. E fu a Creta che, nel 1945, al comando di una piccola brigata, riuscì a salvare 272 soldati italiani che stavano per essere fucilati dai tedeschi.
Per questo ottenne la medaglia d’argento al valor militare. Con questa motivazione: “Valoroso combattente nell’isola di Candia, rimasto con pochi uomini in terra straniera dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, per mantenere viva la fiamma dell’italianità, con audace colpo di mano, salvava dalla morte 272 italiani condannati per rappresaglia dai tedeschi alla fucilazione. Mentre i nostri fratelli già allineati al muro ascoltavano impavidi l’iniqua condanna, con epico slancio, alla testa di pochi valorosi offertisi volontari per l’audace impresa, piombava sul plotone d’esecuzione, che si apprestava ad eseguire l’orrendo massacro e con lancio di bombe a mano e raffiche di mitraglia lo sbaragliava, ridonando alla vita ed alla patria i morituri figli d’Italia. Figura degna delle sublimi tradizioni dell’eroismo italiano”.
Tanto degna da essere rapidamente dimenticata se è vero che la sua storia è riemersa solo grazie alle memorie di un vecchio partigiano greco, un antartes che raccontò a Necco le gesta eroiche di un italiano senza nome riportate nel libro “Operazione Teseo”. Siro Riccioni si faceva chiamare Georgos Sfendilakis e così lo ricordano in Grecia, come un leggendario combattente della Resistenza tra i boschi e le montagne dell’isola, una vera mina vagante per le truppe tedesche.
Quando tornò in Italia, Riccioni- Sfendilakis prese la medaglia dal re di maggio e la mise in un cassetto. Decise di non raccontare la sua storia, forse pensava fosse meglio dimenticarla per non sentire ancora l’odore del sangue. Morì il 10 luglio 1956 in un incidente durante un’esercitazione sulle Alpi. Aveva 36 anni, una medaglia al valor militare e molte cose da raccontare.
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