Non ho mai davvero creduto che le passioni scatenate dal calcio servano a togliere energie alle rivoluzioni, indirizzando verso temi futili la rabbia che meriterebbero questioni ben più importanti. Così si ragionava qualche decennio fa, in tempi molto più ideologizzati di quelli attuali.
Mi sono un po’ ricreduto leggendo lo strampalato post, pieno di allusioni e di non detto, scritto qualche giorno fa dall’ex magistrato e sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Se lo cercate sulla pagina Facebook del sindaco, potete esaminarlo voi stessi. Senza alcun riferimento esplicito, De Magistris parla di furti di Stato, dei ricchi e prepotenti che defraudano Napoli di ciò cui avrebbe diritto, della sete di giustizia della sua città pronta ad abbattersi contro i palazzi del potere corrotti eccetera eccetera eccetera. Voi credete che queste allusioni – in cui il nemico viene indicato con un generico, imprecisato “loro” – siano riferite a qualche torto politico, al taglio di qualche finanziamento, ad una minore presenza dello Stato nella comunità amministrata da De Magistris? No, il sindaco allude ad una partita di calcio giocata a Milano e alle decisioni di un arbitro. Peraltro non c’erano gli azzurri di Napoli, su quel terreno di gioco.
Queste parole intrise di retorica e slogan, scritte da un così importante esponente delle Istituzioni pubbliche, sono state dunque dettate dalla delusione per un risultato sportivo. Immancabile, segue la solita solfa del complotto da parte dei poteri del nord ai danni delle vittime del sud, un triste cliché che ripropone stantii luoghi comuni per cui demeriti, errori e casualità vengono trasformati in un disegno diabolico ordito dai palazzi del potere.
Quando ho letto questo post, mi è subito tornata alla mente la feroce polemica che nei mesi scorsi aveva contrapposto De Magistris a Roberto Saviano. Ve la ricordate? Partendo da un agguato a mano armata, Saviano aveva osato scrivere che a Napoli il potere della camorra resta oppressivo e violento. De Magistris aveva risposto a muso duro, con toni e argomenti sconcertanti, accusando Saviano di essere diventato una specie di azienda che alimenta i suoi fatturati raccontando fatti di mafia e camorra. Cose che avevo sentito dire pari pari, alcuni anni fa, da Berlusconi e dai suoi organi di stampa.
Per riassumere, le ingiustizie da denunciare e combattere sono quelle imputate ad un arbitro su un campo da calcio, mentre della presenza della malavita organizzata non si deve parlare e, se qualcuno lo fa, ne parla solo per specularci sopra e per tornaconto personale. C’è sempre un nemico da combattere, fuori le mura della città, mentre dentro va tutto bene e, comunque, i panni sporchi si lavano in famiglia. Questi non sono sproloqui di un qualunque calciatore o allenatore, ma principi espressi dall’amministratore di una grande città italiana. Mi piace moltissimo il calcio. Lo considero invece una sciagura quando i politici lo usano per costruire consenso o alimentare odio.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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