Luglio 1965. A Porto Torres eravamo nel pieno del boom industriale. Solo la SIR impiegava oltre dodicimila lavoratori, in gran parte forestieri, e poi c’erano le “imprese esterne” e le tante altre fabbriche che avevano fatto sì che in pochi anni quel paese di appena diecimila anime diventasse uno dei maggiori centri della Sardegna, con oltre 25 mila abitanti. Erano arrivati da tutta Italia, dalla Lombardia, dall’Emilia Romagna, dalla Puglia e dalla Sicilia. Agli inizi del ’64 un vero e proprio esercito di giovani tecnici era approdato a Porto Torres proveniente dal cagliaritano. Avevano appena terminato il servizio militare ed erano tutti freschi di “diplomma” conseguito negli istituti tecnici della “cappitalle”. Venivano da tutti i paesi del Capo di Sotto e solo quattro o cinque erano quelli di “Cagliari-Cagliari”. Inizialmente li sfottevamo per il modo che avevano di raddoppiare certe consonanti, in particolare la emme, la enne e la elle, ma dopo poche settimana di sfottò eravamo diventati amici: c’era Nino di Musei, Giancarlo di Bugerru, Massimo di Carloforte, Fausto e Luciano di Cagliari, Mario Orrù invece ci teneva a specificare che era di Sant’Avendrace. Poi alcuni di Carbonia, di Iglesias, di San Gavino e Bruno, di Siliqua. In estate si andava tutti al mare, alle rocce sotto la chiesetta di Balai e raramente scendevamo in spiaggia. Di sera era d’obbligo la puntata allo Scogliolungo, la nostra rotonda sul mare dove, mettendo cento lire in un juke box, si potevano ascoltare tre canzoni (una sola era cinquanta lire) e si ballava fino alle nove, nove e mezzo di sera: quella era la nostra movida! Erano gli anni di “Cuore” di Rita Pavone, di “Mi sono innamorato di te” di Tenco, e ancora di Michele, di Adamo, di Sergio Endrigo e di Nini Rosso che con la sua tromba faceva venire la pelle d’oca al suono del “Silenzio”. Alcuni degli amici, che già a 23/24 anni avevano il posto fisso, si erano persino comprati la macchina: la 850 Fiat era la più gettonata e Bruno si era fatto la 850 coupé azzurra col cruscotto che sembrava in radica. Qualche volta il sabato sera o la domenica si faceva una puntata nei centri vicini, ad Alghero, a Castelsardo o a Stintino, sempre rigorosamente di nascosto. Quella sera, un sabato di luglio, a grande richiesta decidemmo di andare a Lampianu, una bella località impervia a “mare di fuori” con una spiaggia dove si arriva attraverso un sentiero scosceso, con scogliere mozzafiato e dove stava sorgendo un villaggio turistico, il Villaggio Nurra. Allora c’era soltanto un bar con una rotonda dove si poteva ballare, anche lì, al suono di un juke box, e il barista, un giovane forse di Palmadula, non sembrava tanto sveglio. Ballavamo e bevevamo birra e gazzosa fresca, e ridevamo e chiacchieravamo e ballavamo. E alla fine a qualcuno venne voglia di andare in bagno, che non avevamo ancora individuato dove fosse. Allora io e Liliana ci avvicinammo al banco: -Scusi, dov’è…? Ma non volevo dire “il bagno”, né, pensavo tra me, quel ragazzo di campagna avrebbe capito il significato di “toilette”. E cosa mi venne in mente in quegli imbarazzanti e interminabile secondi durante i quali rischiavamo di farcela addosso? Si mi viene in mente la parola che c’era nelle porte dei bagni del treno che prendevamo per andare a scuola a Sassari! -Scusi, dov’è la RITIRATA? Il poveretto mi guardò con aria disarmata e guardando verso il juke box: -Non lo so, ne sono arrivati diversi nuovi questa settimana, ha guardato vicino al Silenzio di Nini Rosso? Inutile dire che ce la siamo fatta addosso!
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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