Napoli e il suo hinterland sono controllati da 180 – diconsi centottanta – clan camorristici diversi. Non lo dico io, ma il sociologo ed editorialista di Repubblica Isaia Sales, cresciuto in provincia di Salerno e vissuto a Napoli.
Clan che si sono divisi il territorio delle estorsioni e dello spaccio e che ormai sparano solo per sgarbi o sconfinamenti, ma clan tra cui vige una sostanziale concordia.
In una conferenza pubblica di qualche mese fa, visibile su Youtube, Sales ha anche messo in discussione l’origine dei termini pizzo e omertà: non siciliani, secondo Sales, ma campani.
Gli ultimi rapporti delle Direzioni antimafia, diffusi pochi mesi fa, dicono che la camorra è diventata sistema al nord, dunque non ha senso ridimensionare il problema rimpicciolendolo a infiltrazioni.
La dimensione internazionale della malavita organizzata è fatto conclamato ma per tutta una serie di motivi se ne parla sempre meno. Dire che la camorra esiste spesso urta la suscettibilità di chi in quei territori vive e, a parer mio, questa sensibilità diventa la peggiore forma di censura possibile. E a questo si aggiunga che troppa gente ritiene le organizzazioni criminali un sostitutivo dello Stato, quando lo Stato manca.
Del resto, Raffaele Cutolo non riconosceva forse sussidi alle famiglie dei componenti della Nuova Camorra organizzata finiti in carcere?
Noi sardi questa suscettibilità la conosciamo bene, perché ancora oggi troviamo gente disposta a ridimensionare la portata o a giustificare il fenomeno dei sequestri di persona.
Questa premessa va messa in relazione con il taglio, deciso dalla Rai, della trasmissione Insider di Roberto Saviano. Notizia passata nelle scorse settimane in secondo piano, oscurata da toast smezzati, scontrini folli e feste di fidanzamento finite male.
Possiamo anche fingere di credere alla spiegazione ufficiale, cioè che la trasmissione sia stata sospesa perché Saviano avrebbe violato il codice di comportamento cui i conduttori Rai sono tenuti.
Ma sappiamo bene che dietro questo provvedimento c’è altro. E non solo la posizione di netta contrapposizione tra l’autore napoletano e il governo in carica.
Molti anni fa, il ministro Pietro Lunardi pronunciò una frase rimasta celebre: “Con la mafia bisogna convivere”.
Venne pesantemente attaccato e forse meno di quanto avrebbe meritato, se si pensa ai martiri lasciati sul terreno dalla mafia.
Però quella dichiarazione rifletteva un comune sentire molto diffuso in Italia e che, col passare del tempo, ha sempre più preso il sopravvento.
Il paradosso è che adesso il crimine viene quasi tollerato e, al contrario, ci si infastidisce molto di più per le denunce di chi ci racconta il crimine.
Quarant’anni fa, durante le indagini per il sequestro del democristiano Ciro Cirillo, il magistrato Alemi giunse alla conclusione che tra il boss Cutolo e il ministro Gava vi fossero solidi rapporti.
Alemi venne denunciato per diffamazione e Ciriaco De Mita prese pubblicamente le distanze dal magistrato. Senonché, molti anni dopo, le ipotesi di Alemi trovarono piena conferma.
In tempi più recenti, sappiamo bene come non siano mai stati chiariti i rapporti tra Silvio Berlusconi e il potere mafioso. Ma gli italiani che consideravano peccato veniale quelle macchie, nel passato del Cavaliere, sono sempre stati molto più numerosi di coloro che quel passato ambiguo lo ritenevano incompatibile con le cariche istituzionali.
Anni fa, ricordo di essermi occupato da giornalista dell’inchiesta Dirty Money, un’indagine della Dda di Milano da cui emersero gli investimenti della ‘ndrangheta crotonese in Gallura. Era uno spaccato agghiacciante dei rapporti tra malavita e notabili olbiesi ed era lecito sperare in riflessioni collettive e in una qualche risposta da parte degli interessati, perché la permeabilità del territorio alla criminalità organizzata era un pericolo per tutti.
Non ci furono risposte e neppure riflessioni, perché di fatto nessuno le ha mai richieste.
Torniamo a Saviano.
L’autore di Gomorra ha sostenitori e detrattori. Molti gli rimproverano di aver rimasticato cose scritte da altri spacciandole per sue, altri gli contestano un eccesso di protagonismo.
Però ci ha raccontato un’Italia fuori dalla civiltà e di come un bambino possa crescere in contesti così degradati. E questo resta un merito innegabile, almeno per ora.
Ma oggi parlare di mafie scoccia un po’ tutti.
E quindi Saviano va silenziato. Tanto quelli contenti saranno più di quelli indignati
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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