Oggi se uno non è indipendentista è dannatamente fuori moda. Io ve lo dico con tutta sincerità: a me, più che l’idea in sé, fa paura l’odio che a quell’idea fa sempre più frequentemente da propulsore. Quanto vi riconoscete nelle bacheche Facebook in cui si augurano morte e sventure a tutti quei politici compromessi col sistema romano? Vi rappresentano? Leggo questa violenza verbale anche in ciò che scrivono persone che stimo, le vedo trattare questi argomenti con la bava alla bocca. Sinceramente mi fanno paura. Mi piacerebbe, su questo orizzonte possibile, ragionarci serenamente, senza che tutto debba trovare giustificazione nell’avversione profonda per tutto ciò che è classificato come “Italia”. Mi si vorrebbe convincere che tutto quel che è “italiano” è schifosamente repellente. Possibile che non si salvi nulla di ciò che esiste oltre il mare? Possibile che il piemontese di oggi debba essere considerato responsabile dei soprusi perpetrati dai Savoia secoli fa? E – chiedo, eh! – non sarà che l’Italia stessa è un’astrazione, dal momento che io tra un valtellinese di Bormio e un calabrese di Vibo Valentia vedo più differenze che affinità?
Se questa idea nasce principalmente dal rifiuto di Roma, mi si dovrebbe anche spiegare quale differenza ci sia tra la nostra agognata indipendenza e quella tanto sbeffeggiata secessione leghista, punto forte dell’agenda politica per tanti anni prima che Salvini iniziasse ad aprire succursali in Sicilia. Non si tratta, in fondo, di gestire autonomamente le proprie risorse? Niente di male, ma io vorrei essere convinto che tutto questo non nasca semplicemente dal bisogno di alzare nuove palizzate, dall’illusione che tutto quel che è fuori di noi sia peggio di noi e farne a meno sia giusto, irrinunciabile, obbligatorio. Stiamo cercando faticosamente, da tempo, di abbattere le frontiere, di parlare, di confrontarci. Alzare un recinto attorno alla Sardegna sarà davvero la scelta giusta? Se andare per conto nostro significa dialogare meglio col resto del mondo, ben venga. Se invece significa fingere che il resto del mondo sia solo un pericolo da quale difendersi, allora no, grazie, fatemi scendere. Siamo parte di un unico mondo, non un mondo a parte. Io cerco di guardare ogni persona negli occhi e di sentire quel che dice. Ciascuna irripetibile, diversa e incommensurabilmente preziosa per la sua unicità e per la sua complessità. Un certificato di nascita è un dato statistico, insufficiente a classificare un essere umano nelle elementari categorie “buoni” o “cattivi”. Vale anche per i politici e per i governi.
La Repubblica sarda sarà anche la soluzione migliore per sfruttare più saggiamente ed equamente le nostre risorse, sarà anche vero che storicamente e culturalmente non siamo italiani (ripeto: si tratta di capire cosa si intenda, oggi, per italiano), ma questo ragionamento parte dall’assunto che la Sardegna – scuserete la citazione – sia “una e indivisibile”. Lo è fisicamente, certo. Mentre una parte dei sardi vuole l’indipendenza, un’altra parte dei sardi aspira ad essere cantone della Svizzera. E già che sono di Arzachena, segnalo che dalle mie parti esiste un movimento che vorrebbe dividere politicamente la Gallura dal resto della Sardegna. Matti? Forse. Ragionano così per egoismo, ma anche perché sono stufi di sentirsi dire che “la Gallura non è Sardegna perché c’è la Costa Smeralda”. Sono anche stanchi di sentirsi accusare di essersi svenduti ad un principe (quello per il quale fu consulente l’indipendentista Antonio Simon Mossa) e poi ad un emiro, non ne possono più di dover rispondere all’accusa di avere sporcato col cemento straniero la loro terra (se invece i palazzi in riva al mare li fanno Mazzella e Zuncheddu, nulla da dire) e di essere sbeffeggiati perché non parlano neppure il sardo. E poi dicono di averne le scatole piene anche di vedere decidere tutto a Cagliari, tanto da aver rispolverato la vecchia espressione “cagliaricentrismo”, espressione cui il povero Luigi Cogodi ribatteva con corrosiva ironia prendendoli per “galluristi”. Elenco tutti questi attriti perché, se si sceglie di privilegiare le differenze alle affinità, ci sarà sempre qualcuno che vorrà prendere le distanze da qualcun altro, che si sentirà penalizzato, danneggiato, limitato. E ci accorgeremo anche noi che esistono più Sardegna, non una Sardegna. Io non sostengo che l’indipendenza non possa essere una prospettiva, sostengo che un progetto politico serio non può nascere sul terreno dell’odio. Rifiuto l’idea di una Costituzione basata sulla contrapposizione con altri uomini: è semplicemente discriminatoria. Già che ci sono, rammento che sta cercando di intestarsi la causa indipendentista un politico sardo eletto nel Parlamento italiano nelle liste del Popolo delle Libertà e secondo cui la Sardegna, nel 1999, aveva undici province. Anche sulla scelta degli interpreti e dei leader – e ce ne sono, tra gli indipendentisti, di assolutamente autorevoli e convincenti – occorrerebbe vigilare con attenzione.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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