Quando nel 1975 in Spagna moriva Francisco Franco, la nazione iberica rimase per qualche istante col fiato sospeso. Dopo più di trentacinque anni, si liberava della dittatura che l’aveva schiacciata per decenni. Gli spagnoli da quell’istante voltarono le spalle al fascismo, chiusero definitivamente col passato. Era venuto il tempo del cambiamento, facendo della propria storia una buona lezione per il futuro. L’Italia chiuse col fascismo molto prima, almeno così racconta la storia. La Resistenza e la Guerra civile furono atroci, ma nel 1945 arrivò la Liberazione e Mussolini cadde, pagando con la vita le atrocità perpetrate durante il ventennio. Siamo certi però che una volta liquidato Lui, gli italiani si sono lasciati alle spalle i fantasmi di una dittatura che mise in ginocchio la nazione? È vero che il nuovo corso politico della prima, seconda e oggi terza Repubblica – attraverso i suoi leader come Silvio Berlusconi, Beppe Grillo e Matteo Renzi (passando prima ancora per Bettino Craxi e la Balena Bianca con i suoi dinosauri cattolici) –, oggi dipinge il quadro di un’altra penisola, fatta di una democrazia matura e degna dell’Europa che dovremmo rappresentare? Secondo Tommaso Cerno, in questo gustoso, erudito e a tratti divertente saggio pubblicato da Rizzoli, A noi! Quel che resta del fascismo nell’epoca di Berlusconi, Grillo e Renzi, non è esattamente così. Gli italiani, prima fascistissimi, poi quasi tutti antifascisti e democristiani, craxiani e comunisti, poi berlusconiani contro antiberlusconiani, poi grillini contro antigrillini, poi renziani contro antirenziani, sembra proprio che siano nati con la camicia, ma nello specifico la “camicia nera”. Infatti, un filo rosso, (e certo non comunista, al massimo clerico-comunista!), unisce le generazioni che si sono susseguite nella storia antropologica dell’homo italicus, dall’estrema destra all’estrema sinistra: quello di essere così dal giorno in cui fu fatta l’Italia, lasciando amaramente disatteso l’auspicio di Garibaldi che voleva fare anche gli italiani. O, per meglio dire: gli italiani sono stati fatti (in un modo o nell’altro): un popolo di “santi, poeti, eroi ed emigranti”, un popolo che lui, il Duce ha osservato e studiato molto bene per poterlo comandare col bastone, olio di ricino e acque santiere. Tommaso Cerno non ha dubbi, Benito Mussolini è stato l’arci-italiano per eccellenza. Il “busto” che tutti dovevano osannare, il messia della provvidenza capace (che ha il coraggio, dovrei dire) di alzare la testa e sfidare quello che gli altri (i sudditi) mai oserebbero fare. Qualcuno ancora insiste: “se oggi ci fosse lui…” o “uno come lui” (o come Donald Trump, visto che ha già fans anche qui) a lasciar intendere che il popolo a cui apparteniamo ha bisogno sempre di UNO (non due, tre o quattro) che gli sistemi le cose, che risolva i problemi, che rimetta in riga tutti quanti, come se il problema fosse in ogni caso il comportamento illecito sempre del vicino di casa e mai il nostro (noi abbiamo gli immigrati a Lampedusa, Trump deve combattere contro i messicani forse per via del sombrero che lo spettina). Già, gli altri rubano, gli altri hanno i vizi, gli altri non pagano le tasse, gli altri sono raccomandati e criminali. Allora si punta il dito. Mussolini questo lo aveva capito bene, sapeva chi fosse il popolo che si prestava a guidare verso l’Impero. Conosceva perfettamente cosa pensava, cosa voleva e cosa chiedeva. Il direttore Cerno si sofferma su alcuni tratti della figura del Duce privato (ma neppure troppo): la passione per la musica, le attitudini oratorie e comunicative, l’ossessione per il sesso. La sua capacità trasformistica, il desiderio macho di possedere un intero popolo come fosse appunto una “puttana” (parole dello stesso dittatore che amava consumare in modo compulsivo i suoi amplessi). Il punto ben illustrato è che anche la figura del leader contemporaneo l’ha inventata Mussolini, esercitando per la prima volta una retorica lucida e semplice, da far invidia alla politica da Solone a Napoleone, da essere imitato persino da Hitler e papa Pio XII (e oggi forse dal mitico Donald Trump, visto che l’ha pure citato). Mussolini sapeva cosa dire, come dirlo, intuiva quello che in quell’istante andava enfatizzato, argomentato o tralasciato. Oggi ci faremmo insegnare tutto questo da un esperto guru (lautamente pagato), ma Benito aveva raffinato la sua tecnica giorno dopo giorno, da autodidatta, diventando nel Novecento un vero e proprio maestro, da inserire nei manuali del perfetto politico (che oggi infatti deve essere retore, attore, uomo serio ma anche un po’ buffone, allegro ma anche raffinato moralista, intransigente ma anche indulgente con i vizi altrui). Ecco perché non bisogna considerare questo un elogio del Duce, anzi. Tommaso Cerno, graffiante e molto più critico di altri democratici antifascisti (che non osano aprire le stanze del passato per paura che il fantasma scappi e lo vedano tutti), spiega in realtà come questa capacità trasformista, da imbonitore e incantatore di serpenti, questo terribile status di cialtronismo alla Pulcinella, è lo stesso che ancora oggi vive nei discorsi, nelle intenzione, nelle strategie della politica italiana. Quindi, ai nostalgici dovremmo solo ricordare: uno come lui c’è sempre, cambia il toupet ma lo scalpo è quello! Un tempo si chiamava Bettino Craxi, con il suo feudo milanese di cortigiani sempre genuflessi che dipendevano da lui che, se contraddetto, era capace di arrabbiarsi parecchio. Poi Silvio Berlusconi, l’uomo dalla bandana caraibica, tra lustrini e red-caper, il barzellettiere, il televenditore, quello del cucù alla Merkel, delle corna, quello che urlando ha fatto irritare la Regina d’Inghilterra, quello della politica come intrattenimento (un mio amico votava Silvio perché almeno è abbronzato). Poi arrivò nel panorama peninsulare, fatto di smottamenti e abusi edilizi, Beppe Grillo, il comico rancoroso che schiacciato dal craxismo si vendica e si guadagna l’attenzione della massa attraverso un linguaggio da pifferaio magico che parla agli intestini costipati degli “italians boy”, solleticando ruffianamente la loro sete di rivalsa. Infine Matteo Renzi, uno scout così giovane da assomigliare a un vecchio dirigente DC che la sa lunghissima e che ha capito come il politichese di fanfaniana memoria deve essere sostituito da una supercazzola infinita (fatta di frasi, parafrasi, metafore, battute, ossimori, dialoghi, tweet, post e slide) per stordire il cittadino al quale, parola di Mike Bongiorno (che lui conobbe bene!), devi far credere di dire sempre qualcosa di diverso anche se alla fine hai cambiato solo gli addendi. La parte forte del libro rimane sicuramente quella che riesce a comparare il ventennio mussoliniano con quello berlusconiano, al di là dei parrucchieri e dei parrucchini. Qui le analogie, i corsi e i ricorsi, le coincidenze tra i due leader si sprecano. Certo, la fine di Berlusconi non è tragica come quella del Duce (e noi che siamo democratici ne siamo felici visto che quella pagina di storia fu orribile come il resto) ma in una società liquida anche la morte può essere protratta all’infinito dal discorso mediatico, anche quando il cadavere viene truccato e irrigidito da un doppio petto (o da una maschera non necessariamente di silicone, come quella di Padre Pio). Per il resto, tra amanti, lacchè, cupidigia e arroganza, sembra un remake hollywoodiano. Sono mancati solo gli elefanti, che Moira Orfei riposi in pace. A parte dunque i santi, i santini e il Santo Padre per antonomasia, Tommaso Cerno ci conduce dentro l’antropologia del borghese piccolo ma così piccolo che da sempre cambia casacca, opinione e atteggiamento appena sente il vento girare e deve sfangarla per l’ennesima volta, possibilmente impunito o al massimo costretto a baciare l’anello di qualche porporato (come ha fatto persino Nichi Vendola prima di diventare papà omosex) sapendo già che basta inginocchiarsi per un perdono assicurato. Insomma, corsi e ricorsi che radiografano minuziosamente il nostro Status melmoso incapace di riforme serie, di rispetto per la legge e di evoluzione civica. Lettura consigliata!
Il fotomontagio Berlusconi – Trump è di Giuseppe Coviello.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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