I sardi sono speciali per la capacità di sopportazione. Sulla inefficienza dei trasporti, vivere o morire per un’isola, la pazienza è stata tanta e l’impressione e che uno spicchio della società scivoli nella rassegnazione. Non è colpa di Pigliaru se le cose vanno tanto male. Non posso neppure addossare tutta la responsabilità a Cappellacci, nonostante quella visione politica disarmante, le soluzioni tecniche adottate che chissà chi gli suggeriva: penso al dibattito sulla flotta sarda. Credo che i nostri guai vengano da lontano, una trascuratezza della classe dirigente dai tempi della Rinascita. Mi riferisco anzitutto ai viaggi interni. Vado spesso nella penisola (non solo nel Centro-Nord) e ho capito che lì le cose non sono mai messe così male. Noi siamo rimasti indietro: se si fanno le proporzioni andava meglio agli esordi della modernità quando c’era il tanto per sperare ( la strada reale concessa dai Savoia proiettava la Sardegna nella contemporaneità). Qui continua a essere al primo posto, nel pensiero di quasi tutti, la rete stradale sgangherata da percorrere con il proprio mezzo – prendere o lasciare – , il cui adeguamento ha i tempi che stiamo vedendo: la Sassari-Olbia è un pezzetto di quello che ci servirebbe e chissà se chi ha la mia età potrà servirsene. Non si guarda al trasporto collettivo, precario nonostante il treno nuovo tra Cagliari e Sassari (non si può dire che “evviva il treno nuovo”, anche se i tempi per arrivare a destinazione non sono cambiati nella sostanza). Si sa che la Sardegna non è alla portata se non fai da te. Difficile raggiungere con mezzi pubblici gli insediamenti storici, in particolare i paesi marginali, pressoché impossibile arrivare agevolmente con Arst nei luoghi delle vacanze più o meno prestigiosi. Provate ad organizzare un viaggio senza la vostra auto e mi direte. Oggi l’inefficienza del trasporto collettivo è indicatore di arretratezza delle regioni europee. Per cui vorrei vederla una classifica. È vero, oggi ci preoccupano di più le difficoltà di relazione con il mondo oltre il mare. Fanno temere le complicazioni per raggiungere una città europea, perché il viaggio per gli isolani è molto di più della metafora di cui scrive Claudio Magris. A una maggiore richiesta di mobilità la risposta ai sardi l’ha data Ryanair, imprevista pure da chi sa tutto di economia dei trasporti. Grazie ai flussi turistici essenzialmente alimentati dal low cost, d’estate si riempiono gli alberghi e non c’entrano quasi nulla le abilità delle amministrazioni locali. Alghero deve moltissimo ai voli a 20 euro e non c’entra il mare pulito che proprio pulito non è. E fa sorridere la propaganda sui numeri in crescita nell’aeroporto questo o quell’altro che certificherebbero la capacità di attrazione di un territorio e la potenza di promozioni che senza la compagnia irlandese servirebbero a poco. Ho scritto qualche anno fa (solo intuito) che Ryanair potrebbe non essere per sempre, e non ci vuole molto a capire che le compagnie low cost vanno come le porta il negozio globale della villeggiatura, e il turismo e tutto ciò che gli sta attorno è roba molto volatile. Per questo il tema dei trasporti deve essere al primo posto. Servono alternative, un piano b, c, d. E comunque, senza Ryanair boh, non riusciamo neppure ad immaginarcelo. La Sardegna non ha mai contato nelle spartizioni delle grandi opere, né possiamo avvalerci di servizi di regioni confinanti o interregionali come le autostrade. Nonostante abbia avuto pochissimo nel settore delle infrastrutture, non c’è un progetto speciale per l’isola nel bilancio dello Stato, nessun proposito importante per compensare la sua condizione di arretratezza. Ovvio, si spende malvolentieri per poca gente. Mentre è evidente l’attenzione e la spesa straordinaria su altre aree più popolate di elettori, pure con opere contrastate, si pensi alla Tav, 20 miliardi di investimento per cominciare, di cui ci siamo dimenticati. Ma per fare i giusti paragoni si guardi alle altre isole italiane, la più grande – la Sicilia – e l’Elba la più piccola , e si capisce la nostra irrilevanza. La Sicilia con il suo ragguardevole elettorato quando va male incassa promesse da trasformare in crediti. Ancora il ponte sullo Stretto di Messina – confermato da Renzi – che non risponde a logiche trasportistiche ( come si sa da un decennio), ma intanto si continua a pagare per il progetto (lo Stato ha già speso poco meno di un miliardo di euro per la messinscena). E la promessa mancata peserà quando si dovranno indennizzare i siciliani per il ponte irrealizzabile. La Sicilia nel frattempo ha la continuità garantita da un tale numero di traghetti che non c’è alcuna protesta da parte dei pendolari tra Sicilia e Calabria. Si guardi infine l’isola d’Elba, 10 km da Livorno, e si vedrà con sorpresa che i circa 30mila abitanti contano su numerosi traghetti (ogni ora) e su voli giornalieri per Firenze, Pisa, Milano e per numerose città europee. Per completezza l’isoletta, per la quale la Regione Toscana si dà un gran daffare, misura solo 200 kmq.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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