Antonio Petito era quasi analfabeta, scriveva due caratteri per ogni foglio, ogni commedia gli costava dieci risme di carta, diverse penne e vari bottiglioni d’inchiostro. Del quale, racconta Eduardo Scarpetta, metà andava sui fogli e l’altra sull’abito dell’autore. Ma era Pulcinella. Quella maschera napoletana – probabilmente la più bella struggente maschera di ogni tempo e di ogni luogo – grazie a lui volò sopra il Vesuvio e si inchinò beffarda davanti al mondo di allora. Nell’arco della sua vita (morì nel1876) Petito consegnò Napoli all’Europa, reinterpretando i moduli ormai estinti della commedia dell’arte e dando spessore psicologico a una miriade di personaggi della tradizione, oltre a inventarne di nuovi. Portare a Sassari la Napoli di questo gigante è uno degli atti di coraggiosa ricerca etnica e linguistica della Compagnia Teatro Sassari, che domenica 30 agosto, alle ore 21,30, in piazza Santa Caterina a Sassari, riproporrà uno dei suoi cavalli di battaglia: “Gavino Occhioni, noto ceggu a balla”, per la regia di Giampiero Cubeddu, il grande esponente del teatro e della cultura sardi scomparso qualche anno fa. E’ uno dei più interessanti appuntamenti di “Farsa sotto le stelle”, la rassegna patrocinata dal Comune nell’ambito delle manifestazioni di “Un’estate a Sassari”. “Gavino Occhioni” è la riuscita trasposizione dell’opera di Petito “’Nu surde, due surde, tre surde, tutte surde”. Nel testo rivisitato da Giampiero Cubeddu e da Mario Lubino (l’attuale presidente della Compagnia) la divertente e trascinante vicenda vola dall’Ottocento dei vicoli di Forcella e della Sanità, al 1960 del quartiere di Sant’Apollinare e della scalinata della chiesa di San Giuseppe. Petito non ha scritto opere di grande valore letterario, ma ha messo in piedi perfette macchine teatrali basate anche sull’universalità del ritmo linguistico del napoletano. Riportarle in un ambito filologico e culturale diverso poteva essere ritenuto uno sfregio da punire con l’insuccesso. Ma l’operazione di Cubeddu e Lubinu, guidata in scena dalla sapiente regia del primo, è invece premiata ormai da molti anni da immancabili successi a ogni suo ritorno. Così come puntualmente avviene con la difficile trasposizione dei “Casi sono due” di Armando Curcio in “La gana di lu cuzineri”. Curcio non era certo il grande Petito ma i suoi “Casi” girarono il mondo per anni e anni nella intepretazione di Peppino De Filippo. E molti spettatori pensavano che autore ne fosse in realtà l’interprete, tanto questi si era identificato in quel cuoco malandrino che quasi a fine carriera gli ispirò il personaggio di Pappagone. Anche in quel caso, quindi, la compagnia affrontò il confronto con un’icona della più grande Napoli, riadattandola ai quartieri di Sassari, a dimostrazione della teoria di uno spirito popolare unico verso cui confluiscono lingue e moduli teatrali diversi. “Gavino Occhioni” è una farsa di travolgente comicità. Racconta le disavventure di Gavino, un diseredato che per sbarcare il lunario si finge cieco e chiede l’elemosina sulla gradinata della chiesa di San Giuseppe, frequentata dalle famiglie più ricche e potenti di quella Sassari. Una mattina assiste a un omicidio. Da qui un colpo di scena dietro l’altro e una serie ininterrotta di risate suscitate da personaggi perfettamente inseriti nell’oliato meccanismo che Cubeddu e Lubino hanno con grande sapienza scenica mutuato da Petito. Ne sono interpreti lo stesso Mario Lubino, Teresa Soro, Alessandra Spiga, Ignazio Chessa, Antonietta Toschi Pilo, Alessandro Gazale, Michelangelo Ghisu, Pasquale Poddighe, Paolo Colorito, Margherita Nurra, Lucia Dore e Gianni Sini. Scenografia Giovanni Lubino; luci e fonica Marcello Cubeddu. Patrocinio Comune Sassari, Regione Sarda e Fondazione Banco di Sardegna. Ingresso libero.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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