Non si può dire Natale e non si può dire Giovanni e Maria (ma perché? Ho avuto anche un innamoramento quando avevo otto anni con la mia compagna di banco che si chiamava Anna Maria) e non va bene Luca e Matteo (ci mancherebbe). Insomma, la laburista Dalli, presidente della commissione europea per le pari opportunità ha deciso per noi (per noi?) che dovevamo virare sul politicaly correct e per non far male alle persone di altri credi o atee o agnostiche o marziane o figli di Baal (ve lo ricordate lo sceneggiato?) o amanti delle tigri di Mompracem dovevamo modificare il nostro credo, il nostro voler a tutti i costi parlare furiosamente del Natale come la festa di tutti. E’ diventata una sorta di guerra ai simboli religiosi anche se, a pensarci bene, proprio un guerra santa non è. E’, piuttosto, quella voglia masochistica di voler provare a modificare il mondo cambiando semplicemente le parole. Non è facile e, soprattutto, non è vero. Un po’ come pubblicare le foto dei gattini sul nostro profilo Facebook e subito dopo chiedere la pena di morte a chi prova a giocarsi la vita come migrante. Se tutto questo avesse un senso dovremmo sorridere ed andare avanti od indignarci e raccontare che il Natale, in fondo, è la festa di una nascita, che coinvolge tutti, senza distinzione di sesso, di religione, di colore, di ideologia. Invece, anche in questo caso, ho visto nascere le barricate: il Natale non si tocca, come la famiglia, la cristianità, il rosario. E ho visto il silenzio di una sinistra sempre poco disponibile a prendere, con chiarezza, una posizione. Occorre un congresso. E’ la democrazia compagni. Lo dico da laico, da cristiano, da amante del presepe, dei regali da scartare, del panettone con l’uvetta (meglio del pandoro): il Natale è una festa bellissima e non vergogniamoci di stringere le mani (oddio, in tempo di Covid….) ed abbracciarci. A proposito: oggi è il 2 dicembre e mancano 23 giorni a Natale. Ecco, l’ho detto. Con buona pace dei sofismi, dei nuovi cultori grammaticali e sequenze paradisiache che poco c’entrano con la normalità di una festa che, per quanto mi riguarda, mi porta sempre al bambino perduto che si emozionava a scoprire un piccolo ma colorato regalo figlio di un momento d’affetto. E scusate se è poco.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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